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LOCRI (RC) – «La si smetta di mettere sotto processo sempre ed unicamente la Chiesa per quello che non avrebbe fatto». Si sfoga così il vescovo di Locri Giuseppe Fiorini Morosini, nel corso della messa celebrata in ricordo del brigadiere dei carabinieri Carmine Tripodi, ucciso dalla ‘ndrangheta il 6 febbraio del 1985.
Secondo il presule, «tutti abbiamo di che pentirci e da cui convertirci» e Morosini ha chiesto «un esame di coscienza sul modo come nel passato ci si è comportati nei confronti della ‘ndrangheta» anche a «tutte le componenti dello Stato e della società civile». Ma le sue parole, nei confronti degli attacchi subiti in diverse circostanze dai vescovi calabresi, sono molto dure: «La si smetta poi di dettare i comportamenti alla Chiesa su come pastoralmente si debba muovere, se deve perdonare, come e quando, se deve negare sacramenti o darli; e a gettare fango su di essa se non si muove secondo le vedute personali. Su questi aspetti – ha aggiunto il vescovo – l’attenzione della Chiesa è molto vigile, più di quanto si pensi. Ciascuno pensi, invece, a come l’istituzione di appartenenza si debba muovere; e ciò gioverebbe di più alla soluzione del problema».
Morosini ha poi sottolineato l’importanza di ricordare che «è falso che la criminalità organizzata è a favore del popolo e vuole il suo bene. La ‘ndrangheta è il potere di pochi che vogliono godersi la vita a discapito di chi cade nella loro rete, che rimarranno sempre poveri e senza benefici reali, se non quello di essere esposti alla legittima reazione della società, che, mediante le forze dell’ordine, cercano di difendersi e far rispettare i propri diritti». E ha concluso proponendo la sua ricetta: «Dobbiamo educarci alla legalità e al rispetto del bene comune e delle istituzioni. Dobbiamo costruirci la vita con il nostro lavoro, mai sfruttando con tangenti, estorsioni, usura il lavoro degli altri. Dobbiamo imparare a rispettare la nostra vita e quella degli altri e a non farci mai giustizia da noi stessi. Dobbiamo vincere la paura della ‘ndrangheta e imparare a denunciare gli eventuali atti contro di noi. Tutti dobbiamo lavorare in modo congiunto per questo scopo: sconfiggere la ‘ndrangheta. Ognuno però al suo posto, secondo le proprie competenze, senza aspettarsi che gli altri facciano ciò che non è di loro competenza».
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