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CATANZARO – La Procura della Repubblica di Catanzaro ha acquisito gli atti relativi all’assunzione di alcuni funzionari all’Arpacal avvenuta nel 2008.   Il personale del Nucleo investigativo sanità e ambiente (Nisa) ha effettuato l’acquisizione degli atti nella sede dell’Agenzia regionale protezione ambiente della Calabria. I documenti acquisiti sono ora al vaglio degli investigatori e del sostituto procuratore della Repubblica, Carlo Villani, che stanno valutando se sono state commesse irregolarità nelle assunzioni.   L’inchiesta della Procura della Repubblica è ancora nella fase embrionale ed è contro ignoti.   Questo nuovo filone d’indagine è successivo a quello relativo al concorso per dirigente amministrativo dell’Arpacal ed al conferimento dell’incarico di responsabile di struttura semplice avvenuti nel 2008. 

Per quest’ultima inchiesta si è giunti nelle settimane scorse alla chiusura delle indagini nei confronti undici persone. Le ipotesi di reato formulate dalla Procura sono legate proprio all’ammissione di un dirigente ad un concorso, con tanto di vittoria e successivo incarico, che aveva fatto gridare allo scandalo chi, in seguito, aveva provveduto a spedire alla volta del Palazzo di giustizia un dettagliato esposto che aveva indotto Dominijanni ad accendere i riflettori sull’intera attività dell’Ente.

CATANZARO – L’urgenza  del provvedimento di sequestro è stata dettata dal fatto che gli indagati avevano saputo  dell’esistenza dell’indagine a loro carico e c’era la possibilità concreta che le somme percepite secondo l’accusa in maniera illegittima potessero essere distratte. A tal punto che uno degli undici indagati nell’inchiesta sulla gestione dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente nel periodo precedente al 2010, aveva tentato di chiudere il conto andando direttamente in banca dove , suo malgrado, aveva trovato i finanzieri. E’ tutto incentrato  sulle assunzioni di chi pur non avendo i titoli sedeva su determinate poltrone, il fascicolo aperto dai sostituti procuratori Gerardo Dominijanni e Domenico Guarascio  a carico di undici indagati, accusati, a vario titolo, di truffa e abuso d’ufficio. 
Si tratta di  Vincenzo Mollace, commissario straordinario all’Arpacal, fratello del giudice della Corte d’appello di Reggio Calabria, Francesco; Francesco Caparello di Lamezia Terme; Pietro De Sensi, di Lamezia Terme; Giuseppe Giuliano, di Catanzaro; Giuseppe Graziano, di Longobucco; Domenico Lemma, di Reggio Calabria; Francesco Nicolace, di Catanzaro; Silvia Romano, di Cosenza; Luigi Luciano Rossi, di Catanzaro; Antonio Scalzo, consigliere regionale e vice presidente della Commissione. 
Tutti, chi era al posto di comando, secondo le proprie competenze avrebbero permesso assunzioni  di chi gli stava più a cuore pur nona vendo questi ultimi i titoli per concorre. Ovvio che da tale assunzioni sia derivato un ingiusto vantaggio patrimoniale tale da far scattare il provvedimento di sequestro delle somme percepite nel corso dello svolgimento del loro incarico. La   nomina di Francesco Caparello, ad esempio,   chiamato a ricoprire a tempo indeterminato, un posto di dirigente amministrativo  per la sede centrale di Catanzaro Settore risorse umane. Un incarico per il quale era necessario, secondo i titoli di accesso, la laurea specialistica e/o conseguita secondo il previgente  ordinamento del sistema universitario in Giusrisprudenza;  Scienze dell’amministrazione; Economia e commercio; Scienze politiche; Sociologia e altre equipollenti. Peccato che Caparello possedesse solo una laurea triennale  di consulente del lavoro. E sarebbe stato proprio Caparello  «l’istigatore – si legge nelle carte –  e il redattore del bando, uniformandolo per come risulta dalle bozze del bando del concorso corretto di suo pugno ai titoli da lui al momento posseduti». Lui, che avrebbe attestato falsamente sul curriculum pubblicato  sul sito dell’Arpacal, alla voce trasparenza, di aver conseguito nell’anno accademico 2006-2007 presso l’Università di Siena  un master di II livello in Esperti di legislazione ambientale”. Lui, che complessivamente, avrebbe percepito stipendi per quasi 230.000 euro  calcolati sino al mese di agosto 2012. Domenico Lemma, direttore del Dipartimento Politica e ambiente poi, così come scrivono i magistrati, non ci avrebbe pensato più di tanto a violare la legge in altre circostanze.  E allora datori di lavoro e dipendenti in un unico calderone. E per sette di loro – Francesco Caparello, Giuseppe Giuliano, Domenico Lemma, Vincenzo Mollace, Francesco Nicolace, Luigi Luciano Rossi e Antonio Scalzo   –  anche  il provvedimento di sequestro di somme che vanno da un massimo di 376.762 euro a un minimo di 15.800 euro. 

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