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 Sergio Marchionne ha parlato del futuro di San Nicola con il direttore Ezio Mauro
«Confermo: la Punto è a Melfi»
L’ad da  Torino ha assicurato che non chiuderà nessuno stabilimento
POTENZA –  «Ho preso l’impegno a portare tutti a casa». Così l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne nel corso dei novanta minuti di intervista con il direttore di La Repubblica,  Ezio Mauro. 
Una frase che letta sic et sempliciter farebbe pensare più a una chiusura di tutti gli stabilimenti della casa automobilistica di Torino che a un loro rilancio. 
Nonostante il dubbio su cosa intendesse davvero  dire Marchionne con quel «portare tutti a casa» l’ad ha, comunque, affermato che «tutta l’attuale occupazione del Gruppo Fiat è confermata». Una rassicurazione che vale per Pomigliano, Mirafiori, Grugliasco, Termini Imerese, Cassino e  anche per lo stabilimento Sata di  San Nicola. 
Ed è proprio rispondendo a una domanda postagli dal direttore Ezio Mauro, su dove sarà, in futuro, prodotta la Punto che l’ad ha risposto:  «La Punto la produciamo a Melfi. Stamattina (ieri per chi legge n.d.r.) ho controllato: la facciamo sempre lì». 
Oltre la Punto, ricordiamo, in base all’accordo sottoscritto  lo scorso 24 gennaio,  dal 2014 nello stabilimento lucano  saranno prodotti anche due nuovi modelli: una Jeep e la Fiat 500X. 
Accordo raggiunto per la ristrutturazione della fabbrica che consentirà la produzione delle nuove vetture dal prossimo anno, al termine di un periodo di cassa integrazione straordinaria a rotazione. Un piano industriale di oltre un miliardo di investimenti per la produzione dei nuovi modelli destinati al mercato internazionale oltre che della Grande Punto. 
Nello stabilimento di San Nicola la produzione della  Punto avverrà su una sola delle due linee di produzione, mentre l’altra è interessata dai lavori. 
Questo di fatto significa  che a partire dal prossimo 11 febbraio, e fino al 31 dicembre 2014, i circa cinquemila dipendenti  alterneranno periodi di lavoro  a periodi di cassa integrazione a rotazione del tutto equilibrati nella durata. Con l’investimento di oltre un miliardo di euro nell’impianto saranno introdotte le più moderne soluzioni tecnologiche che permetteranno a Melfi di diventare uno stabilimento automobilistico all’avanguardia nel mondo.
Tornando al faccia a faccia di ieri al teatro Carignano di Torino, nell’ambito della due giorni di “Repubblica delle idee”, dedicata al lavoro, a   Ezio Mauro che  gli chiedeva lumi sulla tempistica – se avverrà in tre o quattro anni – Marchionne ha risposto: «anche più velocemente». 
Quindi stabilimenti a pieno regime e lavoro per tutti dipendenti «del Gruppo Fiat».
La nuova frontiera saranno le auto di lusso – sia per il marchio Alfa che per quello Maserati – che verranno prodotte nello stabilimento Mirafiori. Nel corso dell’intervista anche un mea culpa:  «Lo sbaglio più grande della mia carriera in Fiat è stato avere annunciato Fabbrica Italia» anche se tutte  «le scelte sono state condivise con la famiglia Agnelli. E li ringrazio per questo, perchè senza di loro, senza il loro impegno la Fiat non ci sarebbe».
E dal teatro Carignano  l’ad del Lingotto ha chiuso la porta “in faccia” al leader della Fiom. «Non so quando Landini sia stato eletto, ma fino alla sua entrata non ho avuto nessun problema con la Fiom», ha spiegato. E sulla proposta di un confronto, avanzata  proprio da Landini, Marchionne ha risposto: «ho appena avuto incontri con i sindacati, c’erano Bonanni, Angeletti, Di Maulo, c’era molta gente. Li vedo, li incontro abitualmente». «L’esclusione di Landini – ha concluso – è una scelta sua».
Ma non solo. Marchionne ha mandato un messaggio ben preciso al segretario della Fiom: «O si fida del management come fanno gli altri sindacati oppure non ha senso» rincarando la dose nel momento in cui ha affermato che «Landini  deve trovare con gli altri sindacati la pace sindacale» perché «non può schierarsi contro la maggioranza dei lavoratori, non può credere di rappresentare la maggioranza degli stabilimenti se non è firmatario del contratto, non può farlo, non fa parte della democrazia». 
E dire che proprio sabato il segretario della Fiom aveva aperto a Marchionne: «è interesse di tutti che nelle fabbriche italiane si lavori e si faccia un prodotto di qualità» e «anche un sindacato che dice dei no può servire all’azienda». In pratica anche la Fiom può essere utile alla Fiat.
Landini non si nasconde né sui temi dell’attualità nello scontro con la Fiat, né sul problema più generale del lavoro, del ruolo che deve svolgere il sindacato, della relazione tra sindacato e politica.
Con la Fiat «noi siamo sempre disponibili al confronto – ha detto – anche perché oggi non ci pare dei vedere grandi certezze sul futuro in Italia» e questo nemmeno dopo gli investimenti annunciati a Melfi e a Grugliasco  visto che per ora, a esempio, a Pomigliano si producono la metà delle auto previste e metà dei dipendenti rischiano di non tornare più al lavoro. Landini propone, tra l’altro, a Marchionne che venga garantito  ai lavoratori il diritto di scegliersi il sindacato». Insomma «no» alla segregazione autoritaria – il caso dei tre operai di Melfi Barozzino, Lamorte e Pignatelli è un esempio –  di chi non aderisce ai sindacati scelti dall’azienda.
Alessia Giammaria
a.giammaria@luedi.it

POTENZA –  «Ho preso l’impegno a portare tutti a casa». Così l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne nel corso dei novanta minuti di intervista con il direttore di La Repubblica,  Ezio Mauro. Una frase che letta sic et sempliciter farebbe pensare più a una chiusura di tutti gli stabilimenti della casa automobilistica di Torino che a un loro rilancio. Nonostante il dubbio su cosa intendesse davvero  dire Marchionne con quel «portare tutti a casa» l’ad ha, comunque, affermato che «tutta l’attuale occupazione del Gruppo Fiat è confermata». Una rassicurazione che vale per Pomigliano, Mirafiori, Grugliasco, Termini Imerese, Cassino e  anche per lo stabilimento Sata di  San Nicola. Ed è proprio rispondendo a una domanda postagli dal direttore Ezio Mauro, su dove sarà, in futuro, prodotta la Punto che l’ad ha risposto:  «La Punto la produciamo a Melfi. Stamattina (ieri per chi legge n.d.r.) ho controllato: la facciamo sempre lì». Oltre la Punto, ricordiamo, in base all’accordo sottoscritto  lo scorso 24 gennaio,  dal 2014 nello stabilimento lucano  saranno prodotti anche due nuovi modelli: una Jeep e la Fiat 500X. Accordo raggiunto per la ristrutturazione della fabbrica che consentirà la produzione delle nuove vetture dal prossimo anno, al termine di un periodo di cassa integrazione straordinaria a rotazione. Un piano industriale di oltre un miliardo di investimenti per la produzione dei nuovi modelli destinati al mercato internazionale oltre che della Grande Punto. Nello stabilimento di San Nicola la produzione della  Punto avverrà su una sola delle due linee di produzione, mentre l’altra è interessata dai lavori. Questo di fatto significa  che a partire dal prossimo 11 febbraio, e fino al 31 dicembre 2014, i circa cinquemila dipendenti  alterneranno periodi di lavoro  a periodi di cassa integrazione a rotazione del tutto equilibrati nella durata. Con l’investimento di oltre un miliardo di euro nell’impianto saranno introdotte le più moderne soluzioni tecnologiche che permetteranno a Melfi di diventare uno stabilimento automobilistico all’avanguardia nel mondo.Tornando al faccia a faccia di ieri al teatro Carignano di Torino, nell’ambito della due giorni di “Repubblica delle idee”, dedicata al lavoro, a   Ezio Mauro che  gli chiedeva lumi sulla tempistica – se avverrà in tre o quattro anni – Marchionne ha risposto: «anche più velocemente». Quindi stabilimenti a pieno regime e lavoro per tutti dipendenti «del Gruppo Fiat».La nuova frontiera saranno le auto di lusso – sia per il marchio Alfa che per quello Maserati – che verranno prodotte nello stabilimento Mirafiori. Nel corso dell’intervista anche un mea culpa:  «Lo sbaglio più grande della mia carriera in Fiat è stato avere annunciato Fabbrica Italia» anche se tutte  «le scelte sono state condivise con la famiglia Agnelli. E li ringrazio per questo, perchè senza di loro, senza il loro impegno la Fiat non ci sarebbe».E dal teatro Carignano  l’ad del Lingotto ha chiuso la porta “in faccia” al leader della Fiom. «Non so quando Landini sia stato eletto, ma fino alla sua entrata non ho avuto nessun problema con la Fiom», ha spiegato. E sulla proposta di un confronto, avanzata  proprio da Landini, Marchionne ha risposto: «ho appena avuto incontri con i sindacati, c’erano Bonanni, Angeletti, Di Maulo, c’era molta gente. Li vedo, li incontro abitualmente». «L’esclusione di Landini – ha concluso – è una scelta sua».Ma non solo. Marchionne ha mandato un messaggio ben preciso al segretario della Fiom: «O si fida del management come fanno gli altri sindacati oppure non ha senso» rincarando la dose nel momento in cui ha affermato che «Landini  deve trovare con gli altri sindacati la pace sindacale» perché «non può schierarsi contro la maggioranza dei lavoratori, non può credere di rappresentare la maggioranza degli stabilimenti se non è firmatario del contratto, non può farlo, non fa parte della democrazia». E dire che proprio sabato il segretario della Fiom aveva aperto a Marchionne: «è interesse di tutti che nelle fabbriche italiane si lavori e si faccia un prodotto di qualità» e «anche un sindacato che dice dei no può servire all’azienda». In pratica anche la Fiom può essere utile alla Fiat.Landini non si nasconde né sui temi dell’attualità nello scontro con la Fiat, né sul problema più generale del lavoro, del ruolo che deve svolgere il sindacato, della relazione tra sindacato e politica.Con la Fiat «noi siamo sempre disponibili al confronto – ha detto – anche perché oggi non ci pare dei vedere grandi certezze sul futuro in Italia» e questo nemmeno dopo gli investimenti annunciati a Melfi e a Grugliasco  visto che per ora, a esempio, a Pomigliano si producono la metà delle auto previste e metà dei dipendenti rischiano di non tornare più al lavoro. Landini propone, tra l’altro, a Marchionne che venga garantito  ai lavoratori il diritto di scegliersi il sindacato». Insomma «no» alla segregazione autoritaria – il caso dei tre operai di Melfi Barozzino, Lamorte e Pignatelli è un esempio –  di chi non aderisce ai sindacati scelti dall’azienda.

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