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CATANZARO – Centocinquanta pagine per ricostruire ruoli, responsabilità e spiegare cosa è accaduto negli ultimi anni in Calabria nella gestione dei fondi pubblici e l’affidamento da parte della Regione di alcuni servizi a società private che impiegavano lavoratori interinali. E per motivare la sentenza di primo grado di uno dei processi più discussi della storia calabrese: l’inchiesta “Why not”.
LA SENTENZA – È la fine del mese di luglio del 2012 quando il processo in primo grado per i 26 indagati che hanno scelto il rito ordinario si chiude con nove condanne a pene dai 3 anni e 6 mesi ad 8 mesi di reclusione, nove assoluzioni mentre per altri otto i reati sono stati dichiarati prescritti. E ieri, i giudici del Tribunale collegiale che hanno emesso il verdetto (Presidente Antonio Battaglia, a latere Adriana Pezzo e Giovanna Mastroianni) hanno depositato le motivazioni della loro decisione. Una motivazione maturata dopo mesi e mesi di udienza trascorsi ad ascoltare testimoni, istanze e ricostruzioni di accusa e difesa. Nella sentenza vengono ricostruiti i singoli episodi e viene evidenziata l’assoluzione con formula piena dell’ex vicepresidente della Giunta regionale Nicola Adamo. Particolare attenzione viene data, infatti, all’episodio, mai dimostrato, relativo ad un finanziamento elettorale da parte dell’imprenditore, Antonino G., in cambio di un provvedimento regionale a favore della grande distribuzione.
IL PATTO ELETTORALE – Secondo le ipotesi accusatorie Antonio Saladino e Antonino G. (anche quest’ultimo assolto) avrebbero stipulato un accordo illecito con Agazio Loiero (assolto in abbreviato per questo capo di accusa) per le regionali del 2005: i due avrebbero finanziato la campagna elettorale in cambio di provvedimenti favorevoli ai loro interessi (ipotesi mai confermata). Mentre G. avrebbe ottenuto la presentazione da parte di Nicola Adamo di un emendamento a favore della grande distribuzione. Questo diceva l’accusa. Ma per i giudici del Tribunale collegiale “all’esito dell’istruttoria dibattimentale non è stata raggiunta la prova della penale responsabilità degli imputati in ordine alla fattispecie di reato loro ascritta. Non è stato acquisito – aggiungono i giudici – alcun elemento idoneo a ricostruire in coerente e logica successione la concatenazione degli eventi, che, secondo la prospettazione accusatoria, costituiscono i vari passaggi dell’illecita operazione di scambio”. E non è finita qui. Perché per i giudici “non è possibile individuare neppure larvatamente alcun atto o provvedimento emanato personalmente dal soggetto politico o comunque da quello ispirato o determinato o a lui riconducibile volto a favorire gli interessi imprenditoriali del Saladino o del G.”. I giudici spostano l’attenzione poi su quel presunto emendamento che avrebbe dovuto favorire G. e che sarebbe stato, sempre secondo l’accusa, redatto da Adamo. Per i giudici del Tribunale “l’emendamento normativo, indicato in imputazione, che avrebbe in qualche modo favorito gli interessi imprenditoriali del gruppo G., per come di seguito meglio esposto, non è attribuibile all’onorevole Adamo, né può in qualche modo a lui ricondursi (in merito non rilevano le eventuali affinità od omogeneità di schieramento politico), ancora meno può considerarsi il corrispettivo del presunto finanziamento della campagna elettorale del Loiero”.
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