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Titolo ad una sola riga
Catenaccio light per primo piano da non modificare – CATEGORICO
di LEO AMATO
POTENZA – «Deve ritenersi che la moria di pesci riscontrata nel corso dell’estate del 2011 sia stata cagionata dalla presenza – tipica delle stagioni calde – di biotossine algali». E’ la conclusione dell’inchiesta sul caso Pertusillo avviata a maggio del 2010 dopo l’allarme sull’inquinamento degli invasi lucani e la denuncia del fenomeno da parte ambientalista.
Due anni e mezzo più tardi i risultati del lavoro condotto dagli agenti della forestale e dai militari del noe dei carabinieri sono finiti in archivio per «infondatezza della notizia di reato». Così anche le perizie affidate a due consulenti della procura: Francesco Fracassi, direttore del dipartimento di chimica dell’Università di Bari (già impegnato nell’inchiesta sull’inquinamento della falda sotto il termodistruttore Fenice di San Nicola di Melfi); e il professor Pasquale Centoducati del dipartimento di medicina veterinaria sempre dell’Università di Bari. 
“Assolti” – dunque – per primi i depuratori dei comuni della zona, finiti all’indice anche a causa di una relazione dell’Arpab che al termine di un monitoraggio effettuato tra luglio e agosto del 2010 li indicava come la possibile fonte dell’aumento di «nutrienti» disciolti nell’invaso, e in particolare del peggioramento della qualità delle acque immesse dal fiume Agri. Stando all’esito della perizia affidata al professor Fracassi che si è avvalso per le sue analisi del noe e della protezione civile non sarebbe emersa nessuna situazione critica. Al contrario «nonostante alcune carenze manutentive» è apparso evidente che i depuratori posizionati lungo le sponde del Pertusillo non solo sono in grado di rispettare i limiti previsti dalla legge, ma in concreto lo fanno. 
In secondo luogo la qualità dell’acqua presente nell’invaso sarebbe del tutto compatibile con gli standard previsti dalla normativa in maniera ambientale per le «acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile», attraverso trattamenti differenziati a seconda della loro qualità distinta in tre classi: A1, A2, e A3. «Basti pensare – scrive il pm Sergio Marotta nella sua richiesta d’archiviazione – che un’acqua destinabile a uso potabile di categoria A3 può presentare addirittura 50mila colicoformi fecali (rectius: microrganismi di natura fecale) per 100 millilitri d’acqua». D’altra parte le acque già destinata all’«uso potabile», sempre di classe A3, sono «sicuramente inquinate dal punto di vista chimico-batteriologico». Di più anche in queste «vi possono essere colicoformi fecali sino a 20mila unità per 100 millilitri e cioè in quantità più di 600 volte superiori a quella riscontrata nell’invaso del Pertusillo».
Il terzo aspetto considerato da Fracassi sono state  – quindi – le sostanze presenti nei sedimenti, per vagliare l’esistenza di «inquinanti chimici insolubili sui fondali del lago», come petrolio e prodotti derivati. Ma anche queste analisi non hanno evidenziato «alcuna criticità».
«Tutti negativi infine – scrive ancora il pm Sergio Marotta – sono risultati gli esami autoptici, parassitologici, batteriologici e virologici effettuati dal professor Centoducati sui campioni congelati di alcuni pesci rinvenuti morti nell’invaso. Anche i campioni di sedimento (…) sono risultati negativi per la presenza di specifici batteri e/o parassiti potenzialmente patogeni per i pesci». 
Colpa dunque delle biotossine e dell’alba killer che prolifera nel lago quando il clima si fa più favorevole, con l’incedere della primavera. Certo però che se in futuro il fenomeno dovesse ripetersi o farsi ancora più importante chiunque si trovi ad analizzare la situazione avrebbe una serie significativa di dati di partenza. Perché purtroppo certi rischi restano sempre attuali. E fascicoli come questi è difficile che restino in archivio a lungo se non cambia la mentalità delle persone.
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POTENZA – «Deve ritenersi che la moria di pesci riscontrata nel corso dell’estate del 2011 sia stata cagionata dalla presenza – tipica delle stagioni calde – di biotossine algali». E’ la conclusione dell’inchiesta sul caso Pertusillo avviata a maggio del 2010 dopo l’allarme sull’inquinamento degli invasi lucani e la denuncia del fenomeno da parte ambientalista.Due anni e mezzo più tardi i risultati del lavoro condotto dagli agenti della forestale e dai militari del noe dei carabinieri sono finiti in archivio per «infondatezza della notizia di reato». Così anche le perizie affidate a due consulenti della procura: Francesco Fracassi, direttore del dipartimento di chimica dell’Università di Bari (già impegnato nell’inchiesta sull’inquinamento della falda sotto il termodistruttore Fenice di San Nicola di Melfi); e il professor Pasquale Centoducati del dipartimento di medicina veterinaria sempre dell’Università di Bari. “Assolti” – dunque – per primi i depuratori dei comuni della zona, finiti all’indice anche a causa di una relazione dell’Arpab che al termine di un monitoraggio effettuato tra luglio e agosto del 2010 li indicava come la possibile fonte dell’aumento di «nutrienti» disciolti nell’invaso, e in particolare del peggioramento della qualità delle acque immesse dal fiume Agri. Stando all’esito della perizia affidata al professor Fracassi che si è avvalso per le sue analisi del noe e della protezione civile non sarebbe emersa nessuna situazione critica. Al contrario «nonostante alcune carenze manutentive» è apparso evidente che i depuratori posizionati lungo le sponde del Pertusillo non solo sono in grado di rispettare i limiti previsti dalla legge, ma in concreto lo fanno. In secondo luogo la qualità dell’acqua presente nell’invaso sarebbe del tutto compatibile con gli standard previsti dalla normativa in maniera ambientale per le «acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile», attraverso trattamenti differenziati a seconda della loro qualità distinta in tre classi: A1, A2, e A3. «Basti pensare – scrive il pm Sergio Marotta nella sua richiesta d’archiviazione – che un’acqua destinabile a uso potabile di categoria A3 può presentare addirittura 50mila colicoformi fecali (rectius: microrganismi di natura fecale) per 100 millilitri d’acqua». D’altra parte le acque già destinata all’«uso potabile», sempre di classe A3, sono «sicuramente inquinate dal punto di vista chimico-batteriologico». Di più anche in queste «vi possono essere colicoformi fecali sino a 20mila unità per 100 millilitri e cioè in quantità più di 600 volte superiori a quella riscontrata nell’invaso del Pertusillo».Il terzo aspetto considerato da Fracassi sono state  – quindi – le sostanze presenti nei sedimenti, per vagliare l’esistenza di «inquinanti chimici insolubili sui fondali del lago», come petrolio e prodotti derivati. Ma anche queste analisi non hanno evidenziato «alcuna criticità».«Tutti negativi infine – scrive ancora il pm Sergio Marotta – sono risultati gli esami autoptici, parassitologici, batteriologici e virologici effettuati dal professor Centoducati sui campioni congelati di alcuni pesci rinvenuti morti nell’invaso. Anche i campioni di sedimento (…) sono risultati negativi per la presenza di specifici batteri e/o parassiti potenzialmente patogeni per i pesci». Colpa dunque delle biotossine e dell’alba killer che prolifera nel lago quando il clima si fa più favorevole, con l’incedere della primavera. Certo però che se in futuro il fenomeno dovesse ripetersi o farsi ancora più importante chiunque si trovi ad analizzare la situazione avrebbe una serie significativa di dati di partenza. Perché purtroppo certi rischi restano sempre attuali. E fascicoli come questi è difficile che restino in archivio a lungo se non cambia la mentalità delle persone.

 

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