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PETILIA POLICASTRO (Crotone) – Prima ha fatto rinvenire i resti bruciati di Lea Garofalo e ora fa arrestare un altro membro della famiglia Cosco, Massimo, 32enne fratello di Carlo, ex convivente della testimone di giustizia di Petilia Policastro condannato all’ergastolo per l’omicidio della donna; ma, soprattutto, rivela che lo stesso Carlo Cosco era «riuscito a sapere dov’è l’abitazione di Salvatore Sorrentino». Stiamo parlando di Carmine Venturino, il 22enne tra i sei ai quali nel marzo scorso la Corte d’Assise di Milano inflisse la massima pena per l’uccisione della testimone di giustizia. Venturino, dopo l’ergastolo, si è pentito e ora vive in un sito protetto. Sorrentino, invece, è il compagno di cella di uno dei presunti aguzzini di Lea Garofalo, il salernitano Massimo Sabatino, del quale raccolse confidenze che svelò agli inquirenti e che diedero l’input all’inchiesta che nell’ottobre 2010 portò agli arresti dei sei poi condannati. La cosa più inquietante, stando al racconto di Venturino, è proprio il fatto che «Carlo Cosco è anche riuscito a sapere dov’è l’abitazione di Sorrentino… ha le capacità di farlo perché è una persona pericolosa e potente ed è inserita nella ‘ndrangheta». Perché i Cosco volevano sapere dove abita Sorrentino, che ha anche deposto nel processo? Non sarebbe da escludere una strategia intimidatoria volta a imporre la ritrattazione. 

Sta “cantando”, dunque, l’ex di Denise, la figlia di Lea costituitasi parte civile contro il padre e gli altri sicari. Il primo arresto lo ha fatto scattare per Massimo Cosco, con l’accusa di traffico di stupefacenti a Milano. Dal capoluogo lombardo si sono precipitati a Petilia, dov’era agli arresti domiciliari per altro, i carabinieri del Nucleo investigativo per notificargli un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Secondo il gip del Tribunale del capoluogo lombardo Massimo Varanelli, che ha accolto le richieste del pm Marcello Tatangelo, Massimo Cosco avrebbe, in concorso con i fratelli Carlo, Vito e Giuseppe, con Rosario Curcio e lo stesso Venturino, acquistato cocaina tra il 2005 e il 2009 in quantitativi di un chilo al mese poi ceduti ad una molteplicità di acquirenti. E’ l’attività di spaccio su cui erano emersi spunti in altri procedimenti, sia quello che ha fatto luce sul delitto Garofalo sia quello che nel giugno scorso portò a condanne per droga per Giuseppe e Vito Cosco, Curcio e Venturino (la retata per il narcotraffico scattò nel settembre 2011). Massimo Cosco, che per anni ha vissuto, come i fratelli e, per un periodo, come Lea, nello stabile dell’ex ospedale Maggiore di Milano occupato abusivamente (e sgomberato nel febbraio 2011 dopo 30 anni di tolleranza), non era in Lombardia all’epoca della scomparsa della donna. Ma, secondo Venturino, era pienamente inserito nelle attività delinquenziali del gruppo non solo per quanto concerne il narcotraffico ma anche in relazione a fatti di sangue. 
IL SERVIZIO COMPLETO, A FIRMA DI ANTONIO ANASTASI, SULL’EDIZIONE CARTACEA DI OGGI DEL QUOTIDIANO CON APPROFONDIMENTI E LE RICOSTRUZIONI DEL PENTITO
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