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L’11 maggio del 2012, nel pieno dell’ultima “mini-crisi” nel capoluogo l’assessore provinciale all’ambiente Massimo Macchia chiama Giovanni Agoglia per avere aggiornamenti e sollecitare maggiori conferimenti al termovalorizzatore Fenice di San Nicola di Melfi. Lo stesso Macchia che soltanto 7 mesi prima (due giorni dopo l’arresto dell’ex direttore generale e del coordinatore provinciale dell’Arpab per disastro ambientale, omissione d’atti d’ufficio e falso in relazione alla contaminazione della falda di San Nicola) assieme al presidente della provincia Piero Lacorazza aveva sponsorizzato la scelta degli uffici di sospendere l’autorizzazione all’impianto per “forti perplessità” che la sua attività avvenisse “senza arrecare pregiudizio all’ambiente ed alla salute dell’uomo, a causa di mancanza di un’oggettiva valutazione dello stato di contaminazione del sito, persistente presenza di sostanze inquinanti con i parametri superiori ai limiti delle soglie di contaminazione, mancanza di specifica valutazione ad oggi sulla eventuale connessione tra l’esercizio dell’impianto e la persistenza dei superamenti delle soglie”, dunque “una manifesta situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente”. Il provvedimento di sospensione sarebbe stato annullato il 18 novembre 2011 dal Tar giudicando “contradditorio” il comportamento tenuto dalla provincia
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