REGGIO CALABRIA – «Ne hanno atterrati di questi cosi tossici qui nella montagna, che glieli hanno portati i “pianoti”, che lì a Gioia Tauro dice che stanno scoppiando che Dio ce ne liberi». Parlano il capo “Corona” Vincenzo Melia e il suo consigliere Nicola Romano, parlano e senza sapere di essere intercettati e rivelano fatti e circostanze che da sempre riecheggiano nella Locride come avvenimenti celati dal mistero ma che in realtà, per come ne discutono i due, hanno basi e fondamenta ben solide.
Ci hanno provato i pentiti a tirare in ballo l’affare dei rifiuti tossici in Aspromonte, ci hanno provato gli informatori delle forze dell’ordine che in qualche caso hanno indicato dei posti dove andare a scavare. Quasi sempre è stato fatto un buco nell’acqua, ma la Distrettuale antimafia di Reggio Calabria non si arrende ed ha ancora un fascicolo aperto contro ignoti dal 2008 per cercare di dare risposte concrete alle leggende delle scorie radioattive sotto la terra calabrese. Nelle pagine dell’informativa dell’inchiesta “Saggezza” c’è anche questo particolare. Gli uomini del Nucleo investigativo di Locri hanno ascoltato per mesi e mesi i soggetti sottoposti a indagine, ed hanno ricavato una mappatura corrente e storica, di vicinanze, alleanze e soprattutto business. Insospettabili intrecciati con criminali consumati, professionisti pronti a mettersi a “disposizione” degli affiliati. Ma nelle conversazioni captate dai carabinieri ci sono anche le storie, vecchie storie che ritornano perchè la ’ndrangheta basa le sue fondamenta sulla sua storia, fatta di affari e onore.
E allora Vincenzo Melia, per gli inquirenti a capo dell’organizzazione denominata “corona”, parla con Nicola Romano, considerato capo “locale” di Antonimina. Due che a quanto si dicono sanno molte cose, tra queste gli interessi sullo smaltimento dei rifiuti tossici in Aspromonte, in particolare in quelle zone montuose, come Antonimina o Ciminà che attraversano due versanti, quello della Locride che affaccia sullo Jonio e quello della Piana di Gioia Tauro che affaccia sul Tirreno. Romano: «Eh abbiamo parlato un poco di queste acque inquinate. Se è vero o non è vero che persone si sono prestate per soldi, che ci sono tutte queste malattie». Melia: «Ma dice che gente sua no». Romano: «No queste cose non di Antonio e non di Cola, queste cose degli anni ’70 quando ancora loro in montagna non c’erano». Melia: «Si». Romano: «Come dicono nel ‘71, io sono arrivato nella montagna nel ‘71, perchè un camion che è bruciato, perchè dietro al camion c’è una fossa, ma non è che potevate pensare, non so eravamo giovanotti, c’erano altri allora….erano i Filippone, i Barillaro». Melia: «Si Ciccio». Romano: «Allora loro c’erano in queste montagne, non sapevano nè di Romano nè di niente». Melia: «Eh si». Romano:
«Vi parlo del 1970, 1971, 1972, allora li hanno atterrati queste cose nella montagna che glieli passavano i “pianoti”, lì a Gioia Tauro ne hanno atterrati, Dio ce ne liberi quanti ne hanno atterrati, dice che stanno scoppiando, questi inquinano falde d’acqua, vedete che se si accerta veramente il discorso vedete che la Calabria se ne va di piatto, non vengono più turisti». Melia: «Eh hanno fatto da soli». Romano: «No qua non si coglioneggia, questi che erano agganciati con i pianoti che c’erano i Piromalli che c’era Cola che aveva agganci all’estero e tutte cose». Melia: «Si». Romano: «E che li hanno portati pure là sopra a Platì, nel “Piano Catanzaro” che l’acqua lì non la prende più nessuno».
Melia: «E che dobbiamo fare». Romano: «Che chi li ha autorizzati queste cose…che a Gioia Tauro dicono che a ogni albero di ulivo c’è un bidone….mannaggia». Ripercorrono la storia Melia e Romano, discutono e sembra sappiano molte cose, cose che gli inquirenti hanno in parte verificato, vicende comunque dai contorni ancora non definiti.
REGGIO CALABRIA – «Ne hanno atterrati di questi cosi tossici qui nella montagna, che glieli hanno portati i “pianoti”, che lì a Gioia Tauro dice che stanno scoppiando che Dio ce ne liberi». Parlano il capo “Corona” Vincenzo Melia e il suo consigliere Nicola Romano, parlano e senza sapere di essere intercettati e rivelano fatti e circostanze che da sempre riecheggiano nella Locride come avvenimenti celati dal mistero ma che in realtà, per come ne discutono i due, hanno basi e fondamenta ben solide.
Ci hanno provato i pentiti a tirare in ballo l’affare dei rifiuti tossici in Aspromonte, ci hanno provato gli informatori delle forze dell’ordine che in qualche caso hanno indicato dei posti dove andare a scavare. Quasi sempre è stato fatto un buco nell’acqua, ma la Distrettuale antimafia di Reggio Calabria non si arrende ed ha ancora un fascicolo aperto contro ignoti dal 2008 per cercare di dare risposte concrete alle leggende delle scorie radioattive sotto la terra calabrese. Nelle pagine dell’informativa dell’inchiesta “Saggezza” c’è anche questo particolare. Due che a quanto si dicono sanno molte cose, tra queste gli interessi sullo smaltimento dei rifiuti tossici in Aspromonte sin dagli anni ’70, in particolare in quelle zone montuose, come Antonimina o Ciminà che attraversano due versanti, quello della Locride che affaccia sullo Jonio e quello della Piana di Gioia Tauro che affaccia sul Tirreno. Romano: «E che li hanno portati pure là sopra a Platì, nel “Piano Catanzaro” che l’acqua lì non la prende più nessuno». Melia: «E che dobbiamo fare». Romano: «Che chi li ha autorizzati queste cose…che a Gioia Tauro dicono che a ogni albero di ulivo c’è un bidone….mannaggia».
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