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Riposeranno in pace vicini l’un l’altro Rocco Salvato ed Erminia Di Tolve, proprio come avevano scelto di trascorrere le loro vite. Lo ha stabilito ieri mattina il Tar Basilicata accogliendo il ricorso presentato a giugno dell’anno scorso dalla figlia Grazia contro la nota del sindaco di Pomarico Giuseppe Casolaro, che su suggerimento del responsabile dell’ufficio di polizia mortuaria del comune aveva rigettato la richiesta di tumulazione della signora nella cappella dov’era già ospitato il marito.
Dietro la decisione del primo cittadino c’era il sospetto di un traffico illegale di loculi nel cimitero del paese, ma i i giudici del Tribunale amministrativo di Potenza si sono mostrati di tutt’altro avviso. Così nel giro di qualche giorno hanno concesso una sospensiva in via cautelare dello “sfratto” del feretro della signora, che era rimasta vedova nel lontano 1990, per poi convalidare – da ultimo – la cessione di una nicchia della cappella di proprietà della signora Antonia Martino per le «particolari benemerenze» riconosciute da questa («quasi centenaria e peraltro priva di figli») proprio alla famiglia Salvato.
In sostanza – spiega il presidente Michele Perrelli che ha vergato di suo pugno la sentenza – va respinta qualsiasi lettura «estensiva» del regolamento comunale approvato nel 2001 per mettere la parola fine al mercato dei sepolcri nel paese del medio Basento. Dunque andrebbero escluse: «inammissibili forzature, essendo pacifico che ogni restrizione della capacità giuridica in generale e della sfera di libertà dell’individuo in particolare deve trovare espressa copertura normativa».
Gli articoli che nello specifico sanzionano «ogni situazione di lucro o di speculazione» sulle concessioni per la realizzazione di cappelle private non sarebbero applicabili nel caso dei coniugi Salvato per la concorrenza di «più elementi» che escludono «siffatti accidenti» e avvalorano la tesi di «un uso secondo legge del consenso alla sepoltura di un non consanguineo nella cappella gentilizia».
«Primo e maggiore elemento – continua Perrelli – sintomatico dell’eccesso di potere perpetrato nel negare l’accesso della salma della signora Di Tolve Emilia nella cappella cimiteriale della signora Antonia Martino è la avvenuta sepoltura, nel medesimo sepolcro, del di lei marito Rocco Salvato deceduto il 4 novembre del 1990. E’ quindi attualmente dimostrato un rapporto ultraventennale tra l’estinta e la autorizzante, così da poter datare le “particolari benemerenze” a una data anteriore con il loro protrarsi nel tempo ed il naturale passaggio ai figli dei coniugi Salvato-Di Tolve anche per l’età quasi centenaria della signora Martino, peraltro priva di figli».
Di più il giudice censura il fatto che negando il riconoscimento delle «particolari benemerenze» invocate dalla quasi centenaria e dalla figlia della defunta il sindaco abbia preso come pretesto l’assenza di un regolamento di attuazione… del regolamento (sic!), che «esplichi quanto già istituzionalmente esplicato (…) avente la finalità attuativa che, invece, si vorrebbe rinviare quasi all’infinito». Niente di più un espediente logico-giuridico per cavarsi d’impaccio, insomma. Di qui l’accoglimento del ricorso predisposto dall’avvocato Nicola Raucci (alla luce «delle situazioni legali e di fatto documentate in atti (…) tutte di senso contrario a quanto stabilito dal provvedimento negativo assunto dal sindaco»), e la condanna dell’amministrazione al pagamento delle spese processuali (2.000 euro più accessori e il contributo unificato).
Avendo scelto di non costituirsi ieri mattina in udienza i legali del Comune non si sono visti, ma il primo cittadino ha accettato di buon grado qualche domanda al telefono. «Quest’amministrazione continuerà nella sua opera di regolarizzazione della situazione». Ha ribadito al Quotidiano Giuseppe Casolaro. «Non sarà stato il caso della signora Martino, come ha stabilito il Tar ma in paese ne abbiamo altri 100 simili che dimostrano che negli anni scorsi al cimitero si erano davvero raggiunti livelli insostenibili». Dal municipio di Pomarico in conclusione non proporranno ricorso al Consiglio di Stato. E anche questo sembra proprio un lieto fine.
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