LOCRI – «La motivazione della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria appare lacunosa». E’ questo forse il passaggio più importante delle quasi 60 pagine di motivazione che la Corte di Cassazione ha depositato in merito alla sentenza del processo sull’omicidio Fortugno e relativo alla posizione di Alessandro Marcianò. Secondo la sesta sezione penale della Suprema Corte ci sono aspetti della vicenda processuale che non appaiono chiari. Circa un mese fa la Cassazione si era pronunciata in modo definitivo sulle condanne agli imputati per il delitto dell’onorevole Franco Fortugno, avvenuto il 16 ottobre del 2005 a Palazzo Nieddu del Rio a Locri. Per Salvatore Ritorto, Domenico Audino e Giuseppe Marcianò era stato confermato il carcere a vita, l’ergastolo, conferma della pena, a 5 anni e 8 mesi, era arrivata anche per Antonio Dessì.
Per Alessandro Marcianò, il capo sala dell’ospedale di Locri condannato all’ergastolo in primo e secondo grado e accusato di essere il mandante dell’omicidio, era arrivato l’annullamento con rinvio, ovvero si dovrà ripetere il processo d’appello. Pochi giorni fa la decisione della Cassazione è stata supportata dal deposito delle motivazioni a firma del presidente della sesta sezione penale Nicola Milo. Nelle pagine che di fatto motivano la decisione della Suprema Corte è scritto nero su bianco che «la responsabilità di Alessadro Marcianò non è documentata». Nel descrivere l’incartamento processuale che è stato posto al vaglio dei giudici di Roma si parla di “passaggi lacunosi” e di “riscontri non oggettivi”. E in particolare sui riscontri entrati nel processo Fortugno rispetto alla posizione di Alessandro Marcianò, i giudici della Cassazione hanno ribadito come le parole dei collaboratori di giustizia, da sole, senza un supporto probatorio forte non sono sufficienti, oltre al fatto che non indicano con certezza una responsabilità chiara di Marcianò. Tutto quindi passa ora nuovamente nelle mani della Corte d’Appello di Reggio Calabria che delle motivazioni della Corte di Cassazione dovrà tenere conto. A sette anni di distanza si chiude definitivamente il cerchio sul commando che portò a termine il delitto che sconvolse la Calabria e l’Italia intera, si aprono dubbi e perplessità su chi quell’omicidio lo ha effettivamente voluto.
Tiene però in larghissima parte il costrutto presentato dall’accusa in due processi che hanno visto condannare i responsabili del delitto. In particolare resistono in Cassazione le motivazioni presentate anche dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, che circa il movente che avrebbe determinato il delitto, si rifà alle parole dei collaboratori di giustizia Domenico Novella e Bruno Piccolo, che in un primo momento riferivano di avere appreso da Ritorto che bisognava uccidere il dottore Fortugno perchè quest’ultimo minacciava di consegnare alla Dda di Reggio Calabria delle registrazioni comprovanti un’estorsione effettuata dai due ai danni di un parente dello stesso dottore, ma che secondo Novella, comunque, diverso era il motivo che ha portato alla morte il povero Fortugno, ritenendo di ricollegare alle questioni politiche le molle che hanno armato il gruppo. Un humus, quello in cui si è sviluppato l’omicidio di Fortugno che quindi sarebbe ben chiaro e delineato, non limpido sarebbe invece il ruolo di Alessandro Marcianò che la Cassazione ha di fatto rimesso in libertà.