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COSENZA – Un omicidio brutale che ha segnato la storia di Cosenza. Roberta Lanzino, 19 anni, violentata e uccisa mentre correva sul suo motorino incontro al mare. Era l’estate del 1988. Erano 24 anni fa. I colpevoli sono ancora fantasmi, nonostante un processo concluso e un altro in corso. Sono i tempi della giustizia, si dice con rassegnazione. Ma sembrano più i tempi di un’agonia. Tanto dolorosa quanto più si protrae. Ieri mattina, al tribunale di Cosenza, l’ultima udienza in ordine di tempo di un processo bis che si è riaperto in seguito alle dichiarazioni del pentito Franco Pino rilasciate nel 2007. E in aula si tornerà solo fra altri due mesi.
Il dibattimento, nei fatti era fermo da prima della scorsa estate: a luglio, infatti, lo sciopero degli avvocati aveva fatto slittare quello fissato per il 16, mentre a ottobre un’assenza del presidente della corta d’Assise Atonia Gallo, aveva reso necessario fissare una nuova data. Uno stillicidio che per la famiglia di Roberta, soprattutto, va avanti da oltre vent’anni. La signora Matilde e il signor Franco, sempre presenti nell’aula della corte d’assise, non sembrano più ormai neanche sorpresi. Ieri era il turno dei fratelli Frangella, sotto accusa per il terribile omicidio nel primo processo e poi scagionati nei tre gradi di giudizio.
Stavolta erano in veste di testimoni, ma due di loro Giuseppe e Gaetano, indagati per false dichiarazioni, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, mentre Pasquale ha inanellato una serie di “non ricordo” che ha fiaccato qualsiasi pretesa di aggiungere tasselli di verità a questo inestricabile puzzle. Sul banco degli imputati in questo secondo processo siedono tre pastori di Cerisano, Alfredo Sansone, 75 anni, e i figli Franco, 49, e Remo, 48. Francesco Sansone, in particolare, deve rispondere del terribile omicidio di Roberta Lanzino. Lo stesso Sansone insieme al padre Alfredo e al fratello Remo sono anche imputati per la scomparsa di Luigi Carbone, secondo l’accusa presunto complice di Francesco nella tragica uccisione della studentessa rendese. Nel corso di quest’anno il processo è entrato nel vivo solo in primavera, grazie soprattutto alle deposizioni rese in aula da Franco Pino, il testimone di giustizia che afferma di aver appreso chi fossero gli assassini della ragazza da un altro detenuto Romeo Calvano, quando si trovavano entrambi nel carcere di Siano. Nel corso del dibattimento, però, le sue dichiarazioni non sono state confermate proprio da Calvano che nell’interrogatorio dello scorso maggio ha smentito di aver mai parlato dei Sansone con Pino.
Mezza dozzina di udienze in dodici mesi, due negli ultimi sei mesi. Pochi passi in avanti. L’idea è che per conoscere l’epilogo di questo infinito processo, i tempi siano ancora lunghi.
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