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REGGIO CALABRIA – Conferma della pena inflitta in primo grado e rigetto integrale del ricorso presentato dalla difesa. Dopo un’ora di camera di consiglio è stata questa la decisione della Corte d’Assise d’Appello, Bruno Finocchiaro presidente e Gabriella Cappello a latere, chiamata questa mattina a decidere dell’appello presentato dai difensori di Giuseppe Schepisi, 37enne rappresentante di bevande, condannato lo scorso marzo a 14 anni e 2 mesi di reclusione, al termine del processo celebrato con rito abbreviato, per l’omicidio del cognato, Vincenzo Calarco, finanziere in congedo. Il ricorso presentato dalla difesa di Schepisi mirava a ottenere le attenuanti generiche e quella specifica della provocazione. La Corte ha accolto in toto, invece, la richiesta dell’accusa, rappresentata in aula dallo stesso procuratore generale Salvatore Di Landro, il quale nel chiedere il rigetto dei motivi d’appello ha commentato il delitto come «un omicidio premeditato portato avanti con lucida freddezza», e le dichiarazioni di Schepisi come «una sequela di menzogne». La richiesta del pg è stata condivisa dalle parti civili, e in particolare dall’avvocato Vincenzina Romeo, per Giuseppe Calarco e Assunta Pintus, genitori di Vincenzo Calarco, e dell’avv. Salvatore Postorino, nell’interesse del fratello e della sorella della vittima. Prima della decisione del processo, la Corte ha rigettato la richiesta dei legali di Schepisi, difeso dagli avvocati Cristian Vincenzo Siclari e Michele Priolo, di effettuare una perizia sul computer della vittima per accertare la presenza di immagini pornografiche. L’omicidio avvenne la mattina di venerdì 26 novembre 2010. Fu lo stesso Schepisi a presentarsi ai Carabinieri della Compagnia cittadina, consegnando ai militari un revolver cal. 357 magnum col quale riferì di avere appena ucciso suo cognato, nell’abitazione di quest’ultimo in via Ferruccio 146. I militari trovarono il corpo della vittima nel letto matrimoniale, Vincenzo Calarco, 37enne finanziere in congedo, era stato colpito mortalmente da 4 proiettili nella regione toracico-addominale. Al momento dell’omicidio nessun altro era presente. Mai chiariti i motivi del gesto, che Schepisi riferì riconducibili a dissidi familiari e litigi. Dopo luna unga attività d’indagine, nell’ottobre dell’anno successivo, i Carabinieri arrestarono un conoscente dei due cognati, Giuseppe Antonio Cozzupoli di 52 anni, che secondo l’accusa avrebbe ceduto sostanza stupefacente ai due uomini la sera prima del delitto. Lo stesso Schepisi il giorno dell’arresto riferì al pm Tripodi e prima ancora ai carabinieri, di essere stato vittima nella casa del comune amico di uno scherzo di cattivo gusto che sarebbe stato orchestrato dal cognato, scherzo che avrebbe offeso l’onore di sua moglie, mostrando delle foto che sempre secondo il racconto di Schepisi avrebbero visto la moglie del rappresentante di bevande ritratta in pose pornografiche. Ne sarebbe derivata un’accesa discussione tra i due cognati, con il Calarco che avrebbe minacciato di morte lo Schepisi mostrandogli 3 proiettili. Sempre secondo il racconto dell’assassino, Schepisi fu costretto da Calarco quella stessa notte a fare un lungo giro in automobile, giungendo fino a Rosarno. Qui ne sarebbe nato un giallo che ancora non è stato del tutto svelato. Dopo una breve sosta in autogrill, i due ripartirono per fermarsi nuovamente poco dopo avendo notato un’auto ferma sulla carreggiata che chiedeva soccorso. Schepisi riferì di essere stato aggredito da uno degli uomini fermi in strada il quale aveva tentato di prelevare dal vano portaoggetti dell’autovettura il denaro dell’incasso che Schepisi custodiva. Approfittando del fatto che il cognato era sceso dall’auto, Schepisi riferì di essersi messo alla guida dell’autovettura, fuggendo via e lasciando appiedato il cognato. Arrivò fino a Pizzo, dove chiese soccorso alla Polizia Stradale. Una pattuglia fu inviata sul posto descritto da Schepisi, ma non trovò nessuno; Calarco fu rintracciato solo dopo, e riferì che non era avvenuto nulla se non che suo cognato l’aveva abbandonato sull’autostrada. Schepisi fece ritorno a casa, mentre Calarco si fece prelevare a Rosarno dalla sua compagna, che lo riaccompagnò a Reggio, quando ormai si era fatto giorno. Schepisi, nel frattempo, dopo un breve incontro coi propri familiari, durante il quale raccontò di aver prelevato le chiavi di casa di Calarco dalla borsa di sua sorella, si recò armato di pistola in casa del cognato. Lì lo freddò con 4 colpi, secondo l’assassino al termine di una colluttazione.
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