2 minuti per la lettura
COSENZA – L’hinterland cosentino era «l’eldorado della prostituzione». Il giudice per le indagini preliminari lo scrive nell’ordinanza che ha portato all’arresto tra Cosenza, Rende e Montalto Uffugo di sette persone – tre delle quali ai domiciliari – e a obblighi restrittivi per altre quattro. Sono tutti accusati di aver messo in piedi quello che gli inqurenti definiscono «un modello organizzativo all’avanguardia e ben noto a livello nazionale» nell’assistenza alle prostitute. Addirittura, secondo il giudice, «meretrici di ogni categoria giungevano da altre città, avendo trovato in questa organizzazione un punto di riferimento». E ancora: «le case chiuse erano ben note nel circuito ed assicuravano alle prostitute un avviamento già consolidato».
IN CITTA’ E ATTORNO AL CAMPUS – Strategiche le posizioni scelte per ospitare le case di appuntamenti. Alcune di esse erano in pieno centro a Cosenza, come quella che si trovava in via Lazio, tra un noto hotel di via Panebianco e la zona del tribunale. Moltissime, però, lambivano il campus universitario di Arcavacata: ce n’erano in contrada Vermicelli e soprattutto in contrada Rocchi e poi nel borgo di Arcavacata. Altre, invece, si trovavano nella parte nuova di Rende, in via Volta o in via Verdi: quest’ultima, in particolare, nei pressi di un noto locale della movida studentesca.
TUTTO COMPRESO – Alle prostitute – tutte extracomunitarie – che si rivolgevano all’organizzazione guidata secondo l’accusa da Mario Franco e Massimiliano Ercole (quest’ultimo è un ex maresciallo dei carabinieri), non venivano messi a disposizione solo gli appartamenti. Secondo la ricostruzione emersa dalle indagini condotte da polizia e carabinieri era disponibile infatti una serie di «servizi accessori e strumentali»: le donne venivano contattate, qualcuno le andava a prendere alla stazione o in aeroporto per poi accompagnarle a casa, poi le accompagnavano persino a fare la spesa o a procurarsi abbigliamento. Ovviamente veniva fornito l’occorrente per svolgere l’attività specifica, dalle lenzuola ai preservativi, venivano effettuate le ricariche telefoniche e si offriva anche consulenza per aggirare eventuali controlli da parte delle forze dell’ordine.
Dalle dichiarazioni a verbale emerge una formula che viene definita «assolutamente originale»: «Franco Mario era solito dividere le donne che facevano le prostitute in due categorie: quelle di classe e quelle per disperazione. Le prostitute di classe venivano messe nell’appartamento in via Lazio perché là si pagava 525 euro a settimana per ogni ragazza. … Le prostitute per disperazione pagavano invece 70-50 euro al giorno ogni donna».
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA