3 minuti per la lettura
CROTONE – Ha scritto al premier Monti, il pentito Luigi Bonaventura, per denunciare il pericolo che corre con la sua famiglia nell’ex isola felice di Termoli, cosiddetta località protetta infestata dalla ‘ndrangheta, come emerso anche dal blitz dei carabinieri di Varese che un mese fa arrestarono per traffico di armi Eugenio Ferrazzo, figlio dell’ex collaboratore di giustizia ed ex boss di Mesoraca Felice Ferrazzo. La lettera è stata trasmessa anche al Servizio centrale di Protezione. La richiesta dell’ex reggente della cosca Vrenna Bonaventura Corigliano di Crotone è quella di un incontro urgente tra Monti, Bonaventura e sua moglie, Paola Emmolo. Ma Bonaventura chiede anche una scorta, un rimborso per varie spese sostenute e il trasferimento all’estero in una località sicura. «In alternativa, chiedo nello stesso lasso di tempo che se io, dopo anni di attendibilità, e proprio oggi che denuncio talpe nel sistema e per lo meno una tacita trattativa Stato-mafia, non fossi ritenuto più attendibile – è detto nel documento – che venga subito cacciato dal programma di protezione e che venga subito dichiarata la mia inattendibilità». Inquietanti le domande poste. «Se invece dei nostri figli fossero i suoi nipotini a rischiare ogni minuto che passa di essere sequestrati, strangolati e sciolti nell’acido, quanto tempo avrebbe impiegato per disporre per loro una scorta e portarli nel lasso di tempo più breve possibile nel posto più sicuro al mondo per loro?». Poi il pentito ripercorre gli abbordaggi da parte di emissari dei clan avvenuti proprio nel sito protetto.
«Noi qui abbiamo sventato il serio rischio che dei finti pentiti, insieme a deviati delle nostre istituzioni, creassero un altro caso Enzo Tortora, che guarda caso, proprio qui, in provincia di Campobasso, si è verificato. Le piacerebbe se dei finti pentiti si accordassero con tutta comodità e facessero ingiustamente il suo nome? Qui in provincia di Campobasso ci fu il caso di Ciancimino, ma ancora più recente ci fu la barbara uccisione della moglie e della figlioletta di un altro collaboratore di giustizia, il pentito Maiorano, e sa per mano di chi? Di Angelo Izzo, il famigerato mostro del Circeo, dove, come se non era già abbastanza, gli è stata data la possibilità di torturare, seviziare, uccidere e seppellire altre due giovani donne». Inevitabile, a questo punto, un riferimento alla vicenda di Lea Garofalo, la testimone di giustizia di Petilia Policastro sparita nel nulla a Milano, nel 2009, uccisa e sciolta nell’acido ma che nel maggio dello stesso anno, proprio a due passi da Termoli, a Campobasso, aveva subito un tentativo di rapimento. «Sì, perché forse lei non lo sa, ma qui si ammazzano le donne, come può ulteriormente notare sul caso del tentativo di sequestro della coraggiosissima collaboratrice di giustizia Lea Garofalo. Tutto ciò è accaduto sotto lo stesso ufficio del Nop, sotto lo stesso programma di protezione. Qui a Termoli la trattativa tra mafia e Stato, grazie al cattivo funzionamento di questo importantissimo strumento di contrasto alla criminalità organizzata, che sarebbe il programma di protezione, si consuma ogni giorno e nessuno fa niente». Strali, poi per i mancati interventi contro la ‘ndrangheta. « Ma Lei, col suo governo, vuole davvero contrastare, se non meglio, debellare questo brutto cancro che è la ‘ndrangheta, che come ormai è noto ha contaminato la nostra nazione e la stessa cosa la sta ultimando nel resto d’Europa, se non vogliamo dire nel resto del mondo? Lei nelle sue leggi per prendere i soldi a chi già non ne aveva (la povera gente) non parla mai di contrasto vero e concreto al fenomeno ‘ndrangheta. Perché non si occupa, nell’interesse di tutti, di rinnovare e davvero far funzionare il programma di protezione, che a noi collaboratori e testimoni di giustizia e ai familiari ci sta torturando e uccidendo ogni giorno?». Bonaventura chiede anche se l’attuale regime di protezione, con tutte le sue contraddizioni, «non sia un bel favore alle mafie?».
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA