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COSENZA – La Cgil condannata dal giudice del lavoro suona un po’ come un ossimoro. Ma è quello che è successo martedì, al termine di un contenzioso durato quasi cinque anni: il sindacato – ha stabilito il giudice del lavoro del tribunale di Cosenza Alessandro Vaccarella – dovrà liquidare circa 30 mila euro ad un ex dipendente che per circa due anni ha lavorato per la Cgil di Cosenza, di mattina e di pomeriggio, percependo una retribuzione mensile di appena 250 euro e senza un regolare contratto.
Il lavoratore, Paolo Ferraro, aveva svolto – dall’agosto del 2003 al maggio del 2004 e dal giugno del 2006 al giugno del 2007 – funzioni di centralinista, archivista e autista. Il giudice, accogliendo le tesi proposte dall’avvocato Aldo Filicetti, ha stabilito il diritto del lavoratore ad uno stipendio adeguato al contratto nazionale, a tredicesima e quattordicesima, al trattamento di fine rapporto e all’indennità per permessi non goduti.
La Cgil, in giudizio, si è difesa negando l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con Ferraro. Nel periodo tra il 2003 e il 2004 il sindacato ha riferito che il ragazzo aveva svolto il servizio civile volontario presso la Camera del Lavoro di Cosenza, mentre nel 2005 sarebbe stato socio di una cooperativa che aveva stipulato con la Cgil un contratto di appalto per le pulizie della sede. Insomma Ferraro, secondo quanto sostenuto dalla Cgil, una volta finito il servizio civile avrebbe frequentato in via saltuaria la sede, senza essere costretto ad osservare un orario di lavoro, «ma unicamente in ragione della condivisione degli ideali dell’organizzazione e di militanza sindacale».
Le testimonianze, prodotte nel corso del processo, hanno però smontato le tesi della Cgil. Sindacalisti, volontari, perfino il gestore di un ristorante nelle vicinanze di piazza della Vittoria hanno confermato di aver visto il ragazzo lavorare al centralino, fare le fotocopie, occuparsi delle pulizie, accompagnare con la propria auto i dirigenti del sindacato. È stato visto in ufficio sia di mattina che di pomeriggio. E c’è anche chi ha riferito di aver assistito al pagamento in contanti di Paolo Ferraro, in più occasioni, con una retribuzione di 200/300 euro.
Testimonianze che il giudice ha ritenuto «attendibili» e in grado di confermare «sia la continuità delle prestazioni lavorative in favore del sindacato e dunque lo stabile inserimento nella struttura, sia l’onerosità delle stesse». Al contrario le tesi difensive della Cgil sono rimaste «indimostrate». Anzi, in alcuni casi sono state anche confutate. Un testimone, ad esempio, ha confermato che il ragazzo è stato volontario del servizio civile, ma prima del 2003. E per quanto riguarda invece il contratto d’appalto per le pulizie con la cooperativa di cui Ferraro sarebbe stato socio, il giudice riferisce che la circostanza è «indimostrata» perché il sindacato non ha depositato nulla che la provasse.
«Sono soddisfatto del risultato – commenta l’avvocato Filicetti – La sentenza, che è frutto di anni di battaglia legale, mi fa ben sperare in un migliore futuro per i giovani che devono rivendicare il diritto al lavoro sancito dalla Costituzione. E devono farlo anche nei confronti di chi quel diritto dovrebbe garantirlo».
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