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VIBO VALENTIA – Ammonta a tre milioni il valore dei beni sequestrati stamani dalla Guardia di finanza su disposizione della Procura della Repubblica. Destinatarie del provvedimento di urgenza due persone, rispettivamente amministratore e rappresentante legale di una ditta. Il modus operandi è sempre lo stesso: un’impresa costituita in sostituzione di un’altra dichiarata fallita per celare l’evasione fiscale da 20 milioni di euro. E anche questa volta è stato svelato da una articolata indagine del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza che ha portato al sequestro di beni milionari a carico di due persone, marito e moglie. Quest’ultima figlia di Carmelo Lo Bianco, alias “Sicarro”, capo dell’omonimo clan vibonese. “Free Tax”, cioè senza tassazione, l’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore della Repubblica di Vibo, Michele Sirgiovanni, attraverso la quale si è pervenuti ad apporre i sigilli a beni di proprietà di Rosario Lo Bianco e Maria Elena Lo Bianco nei cui confronti si configura il reato di evasione fiscale.

 

I militari hanno eseguito una verifica fiscale nei confronti della “Elle Erre Costruzioni Srl” operante nel settore dell’edilizia nel corso della quale è stata scoperta una consistente evasione alle imposte sui redditi (20 milioni di euro di elementi positivi non dichiarati) con conseguente denuncia dei titolari, e accertato l’impiego di 108 lavoratori in nero e 28 lavoratori irregolari. Nel segnalare il rappresentante legale e l’amministratore di fatto della Elle Erre Srl, per i reati di natura fiscale, la Finanza ha richiesto alla magistratura l’emissione di un provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca per un valore ammontante ad oltre 3 milioni di euro, ossia l’equivalente dell’imposta evasa, a salvaguardia dell’erario. Dalle indagini eseguite dal Nucleo di Polizia Tributaria, sarebbe emerso che i titolari avevano già creato una nuova società, la “Dsc Costruzioni Srl”, operante nello stesso settore della società verificata dove far confluire sia il patrimonio che il personale dipendente della società “Elle Erre Costruzioni Srl” al fine di svuotare la società e non pagare i creditori (tra cui l’Erario stesso) prima che venisse posta in fallimento, cosa poi realmente avvenuta alla fine del 2011, e proseguire poi, come se nulla fosse, con la nuova azienda. Tra i beni sequestrati una villa lussuosa, nove fabbricati, un terreno edificabile, un capannone industriale, i beni della Dsc e della individuale “La Pavone”, autocarri,  autovetture di gran lusso e, infine, le disponibilità finanziarie giacenti nei conti correnti dei titolari e delle imprese riconducibili ai due indagati.

 

I dettagli dell’operazione scattata all’alba di ieri mattina sono stati illustrati in conferenza stampa dal procuratore capo Mario Spagnuolo, dal sostituto Sirgiovanni, dal tenente colonnello Di Nunno e dal colonnello a Paolo Valle che hanno evidenziato l’importanza dei sequestri effettuati. Un lavoro, come ha specificato Spagnuolo che rappresenta il prosieguo di tante operazioni andate a buon fine e che non sarà di certo l’ultimo in quanto si sta già lavorando su altri filoni «in un territorio in cui non si pagano le tasse e ci si pensa di arricchirsi illegalmente. Tutto ciò non è ammissibile. La legge c’è e deve essere rispettata. E noi operiamo in tal senso. Non a caso siamo la prima procura in Calabria che consegue i maggiori risultati in questo specifico settore».

 

Il magistrato ha, poi, voluto fare un’analisi sociologica del caso evidenziando che «se si consente a queste persone di operare in simili modi, allora esse sono destinate a conquistare il mercato. “Nomen omen” – ha aggiunto – l’identità di questi soggetti parla chiaro in quanto fanno parte di un contesto ben definito. Ed è anche per questo che abbiamo trasmesso gli atti alla Dda. D’altronde, i Lo Bianco rappresentano i più grossi evasori censiti nella provincia che impediscono ad imprenditori seri di poter competere, intorbidiscono il mercato portando all’impoverimento del tessuto sociale, utilizzando operai mal pagati e insoddisfatti, quasi neanche fossimo al tempo dei servi della gleba».

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