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CATANZARO – La ‘ndrangheta, nonostante i successi registrati nell’azione di contrasto, conserva inalterata la sua complessiva pericolosità: la disponibilità numerica di adepti, il radicamento nel tessuto sociale della regione, gli stretti rapporti con settori compromessi della politica, ma soprattutto la capacità di espandersi al di fuori dei confini regionali per insediarsi in aree con buone opportunità di investimenti, ne fanno uno dei principali fattori di rischio nazionale.  Così si legge nell’ultimo rapporto della Dia, che dedica una sessantina di pagine al fenomeno mafioso calabrese.   «Possiamo arrestare migliaia di affiliati ma l’Italia non si libererà della ‘ndrangheta se non cambiamo la società e la politica, e non solo in Calabria».   

Il ridimensionamento della ‘ndrangheta non può che passare attraverso una condivisione dell’impegno a difesa della cultura della legalità. Va offerta un’alternativa credibile all’egemonia dei sodalizi – che si nutrono di disinteresse e assuefazione – che va oltre la risposta in termini di contrasto investigativo e giudiziario.   Nella «società civile» si fanno spazio associazioni, gruppi e movimenti spontenei a sostegno della legalità, divenendo anche bersaglio di azioni ritorsive, segno di un avvertito pericolo per la conservazione della subcultura di cui si avvantaggiano i sodalizi mafiosi calabresi. Un attentato – con ordigno a basso potenziale – è stato compiuto il 26 dicembre 2011 a Lamezia Terme, in danno di una palazzina ospitante il centro di accoglienza «Comunità pensieri e parole», che si occupa del sostegno a portatori di handicap e minori di cittadinanza straniera.

La Comunità, che fa capo all’associazione “Progetto Sud” gestita dal parroco di quella città, è ospitata in uno stabile confiscato alla cosca Torcasio.Rilevante è il ritorno sulla scena investigativa e processuale dei collaboratori di giustizia, strumento che, dopo lunghi anni di assenza, può rivelarsi fondamentale per ricostruire compiutamente la struttura, le dinamiche interne e le relazioni esterne della ‘ndrangheta. Determinante, in questo senso, il ruolo delle donne ed il loro desiderio di affrancamento da perverse logiche tanto familistiche quanto criminali. La tragica vicenda di Maria Concetta Cacciola, nipote del boss di Rosarno Gregorio Bellocco, che, seppur non indagata, si era spontaneamente presentata ai magistrati, dimostra quanto sia arduo reagire all’acquiescenza tipica di taluni contesti calabresi.  

 

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