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UN’organizzazione autonoma rispetto alla “madrepatria calabrese”, che ha colonizzato il territorio lombardo, e che avrebbe saputo tessere anche rapporti con ambienti politici. Queste le caratteristiche della ‘ndrangheta in Lombardia nelle motivazioni depositate della sentenza con cui il gup di Milano Roberto Arnaldi ha inflitto 110 condanne, fino a sedici anni di carcere, al termine del maxi-processo nell’ambito del processo “Infinito”, scaturito dall’operazione che ha permesso di scardinare l’ingerenza delle cosche calabresi in Lombardia.
«La ‘ndrangheta in Lombardia – scrive il gup – si è diffusa non attraverso un modello di imitazione, nel quale gruppi delinquenziali autoctoni si limitano a riprodurre modelli di azione dei gruppi mafiosi, ma attraverso un vero e proprio fenomeno di colonizzazione, cioè di espansione su di un nuovo territorio, organizzandone il controllo e gestendone i traffici illeciti, conducendo alla formazione di uno stabile insediamento mafioso in Lombardia». La ‘ndrangheta lombarda viene inoltre individuata dal gup come un’organizzazione che si muove indipendentemente dalla casa madre calabrese ed è «composta da soggetti ormai da almeno due (in alcuni casi tre generazioni) presenti sul territorio lombardo che spiega anche la presenza di soggetti non calabresi».
LA POLITICA. Cosimo Barranca, capo della cosca milanese della ‘ndrangheta, ha avuto «specifici contatti anche con personaggi che rivestivano particolare importanza nel campo politico nazionale, regionale e anche locale». Lo scrive il gup di Milano Roberto Arnaldi nelle motivazioni del maxi processo che, sette mesi fa, ha portato alla condanna di 110 imputati. Il giudice milanese segnala anche “contatti” con l’ex sottosegretario alla Regione Lombardia, Angelo Giammario.
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