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VIBO VALENTIA – «Non si tratta di un delitto di mafia, è peggio». Nella parole del procuratore capo della Repubblica di Vibo Valentia, Mario Spagnuolo, c’è tutta l’amarezza umana per una strage incredibile, che ha scosso tutta piccola la comunità di Scaliti, e non solo. «Non siamo abituati ad una simile barbarie – ha aggiunto il magistrato – mentre conosciamo le stragi di mafia. Questa terra non merita questi gravi fatti». 

Il magistrato ha riferito in sede di conferenza stampa che quanto avvenuto «è espressione di una subcultura violenta. Si tratta – ha riferito ancora – di un fatto tragico e di una gravità eccezionale». E sulla causale della tragedia, «che parrebbe essere di tipo privatistico legata a rapporti di mal vicinato», Spagnuolo ha affermato che episodi di questo genere «sembrano far parte di un copione del 1800, ma che, qui nel Vibonese, viene scritto quotidianamente, anche con comportamenti di violenza. Non è la prima volta, infatti, che assistiamo ad omicidi volontari che hanno come movente quello della strage di Scaliti. Ma mai si era verificato tutto ciò con un nucleo familiare completamente sterminato da parte di un altro, alcuni membri del quale, si trovano adesso sottoposti a provvedimenti di fermo».

L’indagine, tuttavia, non si è conclusa. «Noi – ha aggiunto il magistrato – continueremo a lavorare in modo tale da acquisire tutti gli elementi che potranno, in seguito, consentire ad un giudice di emettere una sentenza di verità. Non ci saranno ulteriori conferenze stampa o comunicati. Lasciateci, dopo questa nostra conversazione, lavorare con i tempi che l’indagine impone».  E, infatti, incalzato dalle domande dei cronisti, il procuratore ha risposto con diversi “no comment”, aggiungendo, però, al contempo che gli investigatori, al quale ha dato atto di aver chiuso un’indagine così delicata in pochissime ore, «hanno le idee chiarissime su tutti gli aspetti della vicenda, e riteniamo che queste nostre idee chiare consentano di avanzare una ricostruzione precisa di ciò che è avvenuto. E la faremo al giudice».

Infine un pensiero sulle istituzioni: «Lo Stato c’è, ci vuole essere e vuole far sì che episodi di questo genere non abbiano più a ripetersi».

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