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COSENZA – «Questa sentenza chiude un capitolo importante della storia criminale cosentina. Quella criminalità non esiste più. Ora, purtroppo, ce n’è un’altra, forse più pericolosa». E’ il commento dell’attuale procuratore di Vibo Valentia Mario Spagnuolo dopo la sentenza d’Appello del processo “Missing”, conclusosi venerdì notte con l’emissione di 13 ergastoli (a fronte dei quattro infilitti in primo grado) e di altre ventidue condanne per oltre 300 anni di carcere. Spagnuolo è il “padre” di “Missing”. Aprì lui, all’epoca procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, l’inchiesta su quegli oltre quaranta omicidi di mafia, commessi tra gli anni Ottanta e Novanta nel Cosentino durante la sanguinosa guerra tra i clan “Pino-Sena” e “Perna-Pranno”. Insieme ai suoi uomini rispolverò vecchi fascicoli e diede corpo a una delle più imponenti inchieste sulla criminalità organizzata cosentina. Abbiamo chiesto al procuratore se la nostra città oggi può ritenersi, anche a fronte dell’Appello di “Missing”, tranquilla dal punto di vista criminale. Secca la risposta: «E’ sbagliato considerare Cosenza un’isola felice. L’ho detto anche durante la commemorazione di Sergio Cosmai (il direttore del carcere ucciso dai clan cosentini e il cui omicidio è inserito in “Missing”, ndr). Esiste una criminalità organizzata che non deve essere sottovalutata, soprattutto in questo momento storico, con la crisi che, purtroppo, alimenta le dinamiche criminali».
Sull’edizione di oggi de Il Quotidiano il servizio completo a firma di Roberto Grandinetti
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