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COSENZA – Sette meno venti. Un orologio fermo. Un ticchettio nevrotico che quasi riempie l’ampia sala d’attesa. Divani e poltrone dal sapore vintage ricoperti da un sottile strato di polvere, all’ingresso di quella che dovrebbe essere una clinica d’eccellenza, una di quelle che sino a qualche anno fa disponeva delle camere a pagamento per le partorienti, perchè nascere lì era quasi un privilegio. Di ciò che aveva costruito “Don” Ciccio Cariati, poco c’è rimasto. La casa di cura “La Madonnina”, ha cambiato completamente volto, quasi non la riconosce più, chi per tanti anni ha lavorato lì.
Il 21 novembre infatti, è stato chiuso definitivamente, quello che era considerato il fiore all’occhiello della struttura, il reparto di neonatologia. Di solito, ogni fine anticipa un inizio, anche questa volta è andata così. E’ iniziato infatti il peregrinare di sei ostetriche, tutte assunte a tempo indeterminato e da più di 10 anni. Tutte madri di famiglia e con doppio titolo di studio in tasca, si ritrovano ogni mattina in quella che ormai per loro è divenuta una gabbia, al quarto piano. Una camera con qualche sedia, un tavolino e un letto in disuso, questo è il loro regno. Hanno da poco saputo che tra meno di quattro mesi verranno licenziate, perchè considerate in esubero, e la medesima sorte toccherà a due, dei tre tecnici di laboratorio. Hanno più volte tentato il dialogo con i responsabili della struttura, gli eredi Cariati e con l’amministratore delegato Aldo Rizzuti, ma vane sono state le risposte. «Siamo infermiere professionali a tutti gli effetti, abbiamo chiesto il reinserimento in ginecologia, nessuno più di noi è qualificato a lavorare in quel reparto, ma le nostre richieste non sono state ascoltate. Nella struttura ci sono infermieri costretti a fare i doppi turni e gli straordinari, ma preferiscono far lavorare loro, anzicchè integrare noi. Ogni mattina siamo costrette a timbrare il cartellino e a stare sei ore rinchiuse qui dentro, non abbiamo un ordine di servizio scritto che ci impone di non spostarci, ma c’è stato più volte ripetuto verbalmente. Anche l’unica proposta di reinserimento ci è stata fatta verbalmente, ci è stato offerto infatti,di fare le inservienti di reparto», spiegano. Offese nella dignità personale e professionale, qualche giorno fa, hanno chiesto al primario del reparto di chirurgia, Vincenzo Blasi, di assistere ad un intervento ginecologico, «abbiamo chiesto il permesso di osservare, come si fa quando ancora si studia, semplicemente perchè siamo qualificate e stanche di trascorrere le giornate a non far nulla. Due di noi sono state autorizzate, dopo qualche minuto però, l’amministratore delegato, ha chiamato le forze dell’ordine per allontanarci dalla sala operatoria», raccontano. «Una reazione del genere è assurda. Vogliamo lavorare, ci ritroviamo alla soglia dei cinquant’anni senza prospettive per il futuro e se ci va bene, con un cassa integrazione in deroga. Ma pensano davvero che liberandosi di noi risanino i debiti della clinica?», si domandano. Stanche, e con quattro stipendi in arretrato, tra l’altro, chiedono una soluzione.
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