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COSENZA – Il 20 aprile del 2009 un uomo, Giuseppe Perfetti, di Cosenza, fu trovato morto all’interno della sua auto, una Lancia Y, che aveva parcheggiato su una piazzola dell’A3. Si era ucciso sparandosi un colpo di pistola in testa. In auto le forze dell’ordine trovarono un messaggio, sul quale il suicida aveva motivato il suo gesto. «Mi ammazzo – aveva bene o male scritto – perchè vittima dell’usura…». Mise anche i nomi di alcuni dei suoi presunti estortori, tra i quali un certo Francesco Ruffolo, alias “Bebè”. Sabato la vicenda è ritornata nuovamente a galla, con la nuova ordinanza di custodia cautelare notificata dagli agenti della squadra Mobile a tale Ruffolo, 60 anni, di Cosenza, che in carcere già si trovava per altre questioni di usura. Il Tdl di Catanzaro gli ha  ripristinato la misura, accogliendo di fatto il ricorso che la procura di Cosenza aveva presentato in Cassazione contro la revoca, da parte di un’altra sezione del Riesame, dell’originaria ordinanza. I supremi giudici annullarono con rinvio, col nuovo Tdl che venerdì sera ha deciso per la conferma della custodia cautelare. 

Ruffolo – è bene precisare – non è direttamente chiamato in causa per la morte di Perfetti ma per aver praticato l’usura a un’altra persona, tra l’altro dipendente della Regione. Il fatto venne a galla proprio a seguito di quella lettera trovata nell’auto del suicida. Le forze dell’ordine misero sotto controllo l’utenza telefonica di Ruffolo e uscì così fuori l’usura al dipendente regionale. Seguì, il 4 marzo del 2010, l’arresto di Francesco Ruffolo e del figlio Giuseppe. I due, secondo l’accusa,  avevano prestato al dipendente regionale in questione, G.I., che pare versasse  in una situazione economica critica a causa dei problemi di salute della moglie, 4.000 euro. Per il prestito avrebbero poi preteso interessi del 5% ogni mese. Di mezzo ci sarebbero state poi minacce e aggressioni. Una situazione insopportabile che – fu detto in conferenza stampa – portò la vittima a dire ai suoi aguzzini che avrebbe fatto intervenire la criminalità organizzata. Un espediente andato a vuoto, come quello di promettere un intervento alla Regione per concedere la licenza professionale per i trasporti a favore di un parente dei due presunti usurai. Lo scorso settembre Giuseppe Ruffolo, 40 anni, è stato ucciso nel centro di Cosenza, con l’assassino ancora ricercato dalle forze dell’ordine. Per questo l’unico indagato è rimasto il padre, al quale ieri gli agenti della prima sezione Criminalità organizzata hanno rinotificato la relativa ordinanza. Per la cronaca Ruffolo (difeso dagli avvocato cosentini Giuseppe Malvasi e Filippo Cinnante) era già in carcere per la recente operazione “Beta”, sempre collegata all’usura. Qui tra le presunte vittime compare anche un politico, che agli indagati di “Beta” avrebbe chiesto un prestito a tassi usurai per finanziare la propria campagna elettorale. 

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