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VIBO VALENTIA – Quei sette Bed & Breakfast stridevano con tutto l’ambiente circostante. Non perché fossero abusivi ma piuttosto in quanto di turistico quelle zone avevano e tuttora hanno poco o nulla. Eppure la Regione Calabria aveva concesso un finanziamento alle 63 persone finite nel registro degli indagati accusate a vario titolo, di truffa aggravata, falsità in atti, malversazione ai danni della Comunità Europea, mediante l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti; tutti reati consumati al fine di percepire indebitamente denaro pubblico a discapito della collettività. 63 persone coinvolte complessivamente in una ventina di progetti il cui valore specifico andava da un minimo di diecimila euro fino ad un massimo di quasi centomila euro. Un’anomalia portata alla luce per mezzo di una certosina e accurata indagine condotta dagli uomini della Compagnia di Vibo della Guardia di finanza e coordinata dal sostituto procuratore della Repubblica Santi Cutroneo. Resort il nome dell’inchiesta e fa riferimento, come detto, ad una maxitruffa poiché, secondo le risultanze investigative portate alla luce dagli uomini agli ordini del capitano Luca Bonatesta, le persone destinatarie dei finanziamenti non solo non hanno realizzato le strutture ricettive, ma avrebbero speso le somme di denaro pubblico per ristrutturare le rispettive abitazioni, o quelle dei parenti. O ancora per confezionare addirittura regali di nozze a congiunti, amici e conoscenti. Regali di una certa entità come, ad esempio, camere da letto o vasche idromassaggio. E tutto questo con buona pace dei contribuenti.I progetti approvati, del valore complessivo di oltre 2 milioni di euro, di cui ben 1.300.000 a carico della Comunità Europea, prevedevano l’avviamento di 23 strutture ricettive che avrebbero sicuramente costituito valido sostegno al turismo, soprattutto per quello giovanile. Fatto sta che di queste strutture nemmeno l’ombra. Né quelle sulla costa, né tantomeno nell’entroterra. Infatti il fine ultimo delle richieste di finanziamento non è stata l’apertura dei cosiddetti B&B, ma l’accaparramento di denaro stanziato dalla Comunità Europea ed assegnato alla Regione Calabria, speso poi per l’effettuazione di ristrutturazione, ampliamento ed arredamento di abitazioni ad uso esclusivamente privato se non addirittura, come ipotizzato dai finanzieri, per regalare, come riferito, mobili e televisori, a parenti o amici, in occasione di matrimoni o altre ricorrenze. L’inchiesta ha consentito di arrivare fino agli uffici della Regione e precisamente in quelli dell’assessorato al Turismo, tant’è che tra i 63 presunti responsabili dell’attività illecita, sono annoverati, quali complici, oltre ai collaudatori delle strutture e ai titolari di 20 aziende fornitrici, due funzionari pubblici della Regione Calabria, Francesco Bianchi e Giovanni Veneziano, per reati che vanno dalla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, alla malversazione a danno della Comunità Europea, dalla Falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico alla Falsità in scrittura privata e alla Falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atto pubblico, fino alla dichiarazione fraudolenta mediante l’uso e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti. I dettagli dell’operazione scattata all’alba sono stati illustrati in conferenza stampa dal capo della Procura di Vibo, Mario Spagnuolo, dal sostituto Cutroneo, dal comandante provinciale della Gdf, Paolo Valle e dal capitano Bonatesta. In particolare Spagnuolo ha evidenziato il lavoro particolarmente delicato delle Fiamme Gialle in quanto ha permesso di portare alla luce l’ennesimo meccanismo di spreco di denaro pubblico da parte di gente che avrebbe dovuto costruire strutture recettive le quali, invece, sono rimaste sostanzialmente solo sulla carta utilizzando il relativo finanziamento per ristrutturare le proprie abitazioni intascandosi così le somme attraverso un sistema di fatturazione fasullo. Un fenomeno di diffusa illegalità, come ha sostenuto il magistrato, «che rispecchia un’abitudine consolidata da parte di certi individui secondo la quale il rispetto delle regole riguardi gli altri ma non se stessi. La Finanza, pur nell’esiguità delle sue forze ha operato uno sforzo eccezionale sapendo utilizzare sapientemente e diligentemente le proprie risorse in una provincia, qual è quella di Vibo Valentia. In cui vi è la più alta percentuale evasione fiscale».

Ma a scorrere la lista degli indagati si nota anche la presenza del presidente del consiglio comunale di Serra San Bruno, Giuseppe De Raffele, che nella sua qualità di titolare della “Glg Soft Sas”, con sede a Catanzaro Lido  avrebbe emesso una fattura per operazioni inesistenti, permettendo al Stefano Catania di documentare spese non realmente sostenute, il tutto in relazione all’approntamento del “B.&B. Ca.Ste. di Catania Stefano”, con sede operativa a Spadola (VV). Fattura per un imponibile pari ad 874 euro ed un’Iva (al 20%) pari a 174,80 euro; si specifica che la medesima risulta avere quale descrizione “Personal Computer completo di accessori cavi di collegamento, drivers e licenza d’uso Microsoft Vista”. Al riguardo l’interessato ha voluto precisare al cronista di «non aver ricevuto alcun avviso di garanzia né di essere titolare di Bed & Breakfast. Come faccio, quindi, ad aver richiesto e, pertanto, ricevuto finanziamenti per qualcosa che non ho?», si è domandato De Raffele, il quale ha aggiunto di non «aver nemmeno una partita Iva».

Il primo scossone politico derivante dall’indagine riguarda il presidente del consiglio comunale di Vazzano, Domenico Antonio Maida, che si è dimesso con una lettera al sindaco del centro del vibonese per comunicare la propria decisione. Ho appreso solo oggi – afferma – di un mio coinvolgimento nell’inchiesta della Procura della Repubblica di Vibo Valentia denominata Resort. Sicuro di potere dimostrare la mia estraneità ai fatti contestati, ritengo comunque giusto non creare imbarazzo a te e a tutta l’Amministrazione comunale di cui sono onorato di avere preso parte».

Nella lettera Maida ringrazia il sindaco «per il comportamento sempre corretto nei miei riguardi» e precisa di avere deciso di lasciare l’incarico di consigliere e quindi di presidente dell’assemblea «al fine di evitare eventuali strumentalizzazioni».

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