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Capita d’imbattersi in un cd che sembra un vecchio vinile, solo nove brani, registrato in analogico. Suoni acustici, timbri e modi inequivocabilmente cantautorali. Oggi, e già da un po’, lo si direbbe “indie”. Lui si fa chiamare Modì, a rimarcare una forte cifra artistica. Il suo album, un esordio che fa seguito a un EP di tre anni fa, è “Il suicidio della formica” (Hydra Music). L’inizio, la prima traccia, è già un programma, un significativo invito alla scaletta: “Persistenza della memoria”, si intitola. Ha qualcosa di slowcore, ritmiche rallentate come si iniziò a usare a cavallo dei ’90, con una bella armonica da crepuscolo west. Il secondo brano ti sembra di averlo già sentito, con quell’attacco di chitarra così stiloso e new-folk. Ma questo è Elliott Smith, in italiano! E infatti “La ballata del grande nulla” è l’adattamento di “Ballad of big nothing”, un pezzo del cantautore di Omaha morto tragicamente 34enne, con il riadattamento del testo in italiano da parte di Alessio Bonomo. Accipicchia, ma questo Modì… Poi vai a spulciare nel comunicato stampa di accompagnamento e scopri che dietro lo spleen malinconico e piovoso di questo songwriter si cela l’identità di Giuseppe Chimenti, classe 1978, nativo di… Spezzano Albanese, provincia di Cosenza. Ascrivibile alla nuova “scuola romana” − che annovera tra gli altri Roberto Angelini, Andrea Pesce, Pino Marino, Zampaglione − perché artisticamente capitolino, essendosi trasferito nella capitale per seguire estro e sogni, nel 1997. Lo stesso anno in cui Elliott Smith pubblicava la canzone nichilista che oggi è finita sul suo esordio. Cieli grigi e pioggia, un freddo che non viene solo da fuori ma soprattutto da dentro, il vento nel cuore. L’attesa vana che qualcuno ci porti via da una vita sempre più stretta. Giorni senza festa, anni chiusi in tasca. La poetica di Modì è claustrofobica, persino sottilmente paranoica, ma si iscrive perfettamente e senza forzature nel solco del cantautorato pessimista, scuro, minimalista, che ha per capiscuola cantautori talentuosi e tormentati come Nick Drake, e più in là continuatori come Will Oldham e lo stesso citato Smith. Carillon, atmosfere chiuse e ovattate, carnevali spettrali, “la gabbia ch’è la vita”, “una vita che è sempre più finta”. Non un tipino leggero, Chimenti. Uno che sulla pagina di myspace ha scritto in calce “preferisco i falliti perché chi riesce in tutto è necessariamente superficiale”. Un artista da ascoltare con attenzione, senza superficialità, appunto. E da seguire. 

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