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REGGIO CALABRIA – Le gare d’appalto erano cosa loro. Da conquistare a mani basse, lasciando appena le briciole agli altri concorrenti. Alternando trucchi a metodi mafiosi, nel mirino della famiglia Bagalà, imprenditori di Gioia Tauro impegnati nei lavori di edilizia residenziale e commercio di ferramenta e termoidraulica, erano finiti gli appalti della Provincia di Reggio Calabria e della Sorical di Catanzaro. Lavori pubblici per un business da milioni di euro. Il gruppo criminale vantava un’autentica corsia preferenziale, spadroneggiando grazie alla connivenza di impiegati e funzionari pubblici. Nelle stanze dei bottoni a Reggio e a Catanzaro. Sul loro libro paga funzionari, impiegati dell’ufficio protocollo e semplici uscieri: sempre il complice giusto seduto nella scrivania giusta. 
«Devono fare come diciamo noi» sbraitavano, arroganti all’infinito, gli indagati intercettati dagli 007 della Guardia di Finanza del comando provinciale di Reggio Calabria. Ben poche vie d’uscita a chi si dimostrava riluttante, titubante o integerrimo. I picciotti della gang bruciavano macchine e minacciavano, facevano saltare autovetture in aria e progettavano accoltellamenti o pestaggi. Poco importava se sulla loro strada si ponesse una donna: rischiò di brutto la dottoressa maria Grazia Blefari, dirigente della Stazione unica appaltante provinciale di Reggio Calabria. Quando un funzionario fiutò il malaffare, avvistando una delle buste della gara d’appalto da espletare invece che nella cassaforte su un divano come fosse carta da cestinare, ed esternò dubbi e sospetti la dirigente non battè ciglio: denunciò tutto alla Guardia di Finanza di Reggio Calabria. Agli investigatori delle Fiamme Gialle spiegò l’iter e la procura amministrativa, collaborò in pieno. 
Scatta così l’inchiesta “Ceralacca”, la retata di ieri mattina con nove arresti e un’interdizione dai pubblci uffici, beni per otto milioni di euro sequestrati. Gli uomini del Nucleo di polizia Tributaria, che operano sotto le direttive del maggiore Gerardo Mastrogiacomo, del maggiore Domenico Napoletano e del capitano Marco Sorrentino, mettono in campo tutte le migliori energie investigative. Uomini e tecnologie, l’elite delle Fiamme gialle. Proprio l’acume di un investigatore, che piazza la telecamera spia negli uffici della Suap di Reggio Calabria in modo che nessuno, nemmeno il picciotto più scaltro sospettoso potesse individuare, a scardinare lo stratagemma malandrino. Così mentre le cimici registrano e ascoltano le malefatte di impiegati e furbetti, la telecamerina registra il tentativo di bonifica dei locali all’interno di palazzo Foti e poi il rito dell’apertura delle buste. Loro giocavano d’anticipo: aprivano le buste, le controllavano, le verificano, effettuavano calcoli e presentavano la loro offerta. Puntualmente vincente. Alla Provincia di Reggio Calabria e alla Sorical a Catanzaro. 
Sembrava filare tutto liscio come l’olio, invece si stavano incastrando da soli i Bagalà e i compari degli uffici pubblici. «Un caso scolastico di turbata libertà degli incanti» rimarca il comandante del Gruppo di Reggio Calabria, colonnello Claudio Petrozziello. Ed aggiunge: «Questa tipologia di indagini solitamente sono difficili da inquadrare. Ed invece in questa occasione hanno fatto tutto loro: non solo parlavano ma li abbiamo filmati in diretta. Presi con le mani nel sacco».
Gara dopo gara, il business si ingrandiva, milioni su milioni di euro. Per gli “amici” dislocati alla Provincia ed alla Sorical c’erano due alternative: accettare le bustarelle del gruppo, soldi che sono arrivati fino a 28 mila euro per un “favore”, oppure convincersi dopo macchine incendiate, autovetture esplose, minacce telefoniche, lettere minatorie nelle quali si convincevano i titubanti a rientrare nei ranghi «oppure la scappatella con l’amante sarebbe stata di dominio pubblico». 
In conferenza stampa rimarcano la bontà del lavoro investigativo il procuratore capo di reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, e il procuratore aggiunto, Ottavio Sferlazza: «Un lavoro da manuale grazie all’elevata professionalità di questi uomini che non si sono risparmiati nemmeno un istante per fare quadrare il cerchio». Un lavoro a tutto campo, da infallibili segugi. Li ringrazia uno ad uno il comandante provinciale di Reggio Calabria, colonnello Cosimo Di Gesù. Un manipolo di uomini che ha operato giorno e notte. Tante infatti le nottate trascorse a notare come l’usciere della Provincia, che disponeva di tutte le chiavi degli uffici, aprisse il portone di Palazzo Foti per gli emissari della famiglia Bagalà, e ricostruire la sortita negli uffici della Suap. Un business stroncato.
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