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di PARIDE LEPORACE
OGGI torna in Basilicata dopo il successo di Sanremo, caro amico di tutti i lucani, Rocco Papaleo. E’ bello che, nel mezzo di un successo travolgente, Rocco abbia deciso di venire a Potenza, il capoluogo della sua Regione, per partecipare ad una conferenza stampa organizzata dalla Rai regionale (un altro bel punto per il direttore Taverniti) e poi, ancor di più, per un incontro all’Università della Basilicata che trae spunto come recita la locandina dello spettacolo da ” Na picca appidun’ ” (Ad ognuno la sua parte! Cronaca di un’utopia franata),in cui si racconta l’illusione sociale, tema legato indissolubilmente alle genti e alla memoria del territorio lucano. Utopia è parola bella. E’ come l’orizzonte che guardi e non riesci mai a raggiungere, punto difficile di giusto approdo. Bene ha fatto il rettore dell’Unibas ad accogliere questo momento lucano. Rocco Papaleo non è il messia del nostro riscatto. E’ un lucano sulla cresta dell’onda. Ha appena ricevuto la nomination come personaggio televisivo dell’anno, il suo spettacolo teatrale è sold out dappertutto, l’uscita del suo film da protagonista con Luciana Littizzetto annuncia record da botteghino. Domenica scorsa il suo dialogo con lo scrittore lucano Giuseppe Lupo (il Quotidiano l’ha pubblicato prima del Festival) ha dato titolo e riflessione meridionalista allo storico crociano Giuseppe Galasso sulla prima pagina del Corriere del Mezzogiorno. La storia umana di Papaleo è diventata collettiva e identitaria. Con la poesia era quello che già fece nel secolo scorso Rocco Scotellaro da Tricarico.
Una storia lucana bella, quella di Papaleo. L’ho meglio compresa a Bordighera pranzando con gli amici di Rocco che tornavano a casa. A poche ore dal Festival si metabolizzavano sensazioni e affioravano i ricordi di quell’uomo del giorno, che al suo paese chiamano Antonio. Così continueranno a chiamarlo ricordando quando portava gli occhiali spessi come un fondo di bottiglia. Conoscono tutta quella compagnia citata, nome per nome, nella canzone eseguita l’ultima notte del Festival che ha reso celebre Lauria al pari di Monghidoro, Zocca, Pavana. L’avvocato appassionata di musica, cinema e teatro ricorda i nomi di tutti quegli amici che sembravano usciti dal film di Lina Wertmuller. Alla Pro Loco e’ nata la Foca, tormentone dell’Italia ai tempi del loden. Un numero coltivato per decenni. Gli altri amici di Antonio diventato Rocco, oggi sono professionisti affermati. Anche loro ricordano che al paese Antonio recitava il ruolo di giovane sfigato che non conclude mai con le donne. Forse era una posa, forse era vero. Quante cose sono cambiate da quando in molti lo consideravano una strano anticonformista, anche un po’ scemo. Ma e’ risaputo che dietro uno scemo c’e’ sempre un villaggio. Ora quel villaggio è globale e lì qualcuno ancora ripensa alla moglie, forse svizzera, che pochi ricordano e quasi nessuno conosce. Provava a studiare matematica ma con gli amici di Lauria finì a fare il manichino vivente nelle vetrine di Babilonia, celebre boutique trasgressiva di via del Corso a Roma di tendenza negli anni Ottanta e a recitare al ristorante “La parolaccia”, chi ricorda come artista, chi dice come cameriere. Era tanto tempo fa. Il sindaco di Lauria quel giorno sotto il sole di Bordighera pensava ai tempi della scuola. E si emozionava per quella passeggiata con il suo collega di Latronico sul red carpet dell’Ariston insieme ad Antonio. Oggi Rocco Papaleo incontra la sua gente nell’università che non c’era quando lui era studente fuorisede. Un cantastorie che ha uno stile poetico e gentile molto utile in questa epoca fracassona. Bentornato in Basilicata.
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