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di ANGELO CANNATA’
“CI sono momenti nella vita di un uomo in cui bisogna decidere da che parte stare”. Cesare Luporini spiega così l’attimo (il momento) in cui Carl Marx, figlio di un avvocato di estrazione borghese, “decise” d’abbandonare la classe di provenienza e il benessere, per schierarsi col proletariato, i meno garantiti, i deboli. Si può non condividere l’utopia comunista, ma, per questa scelta di campo, il filosofo tedesco merita rispetto. Stare dalla parte dei deboli. E’ un insegnamento che resta.
Perché parlo di questo? La verità è che il sacrificio di Maria Concetta Cacciola, Giuseppina Pesce e Lea Garofalo ha scosso molte coscienze. L’iniziativa del “Quotidiano” fa discutere, in Calabria e a Roma, ed io sono rimasto colpito dalle parole di Matteo Cosenza: «Se bisognava stare dalla parte di qualcuno non bisognava avere dubbi: bisognava stare dalla parte dei più deboli. E i più deboli erano quelle donne che, a costo di un travaglio tremendo, alla fine avevano deciso di rompere con le loro famiglie e di scegliere la strada della legalità e della giustizia (…) un cammino di redenzione anche a costo della fine più atroce».
Sono parole lucide. E tuttavia si ha come l’impressione che il nocciolo duro della società civile calabrese stia ancora “a guardare la partita dagli spalti”, per usare la metafora di Cosenza. L’impressione, la sensazione (il timore, questa è la parola esatta), è che dopo l’otto marzo i riflettori si spengano e tutto finisca nel silenzio assordante di quotidiane collusioni: la Calabria della buona coscienza e della cattiva digestione, dimentica. Questo è il punto.
E allora, è giusto chiedere: cosa deve ancora accadere? Le donne degli inquisiti protestano a Reggio. Hanno il diritto di farlo, d’accordo. Ma la società civile vuole, o no, uscire dal silenzio, dire che non accetta il giudizio sommario sulla magistratura? Ognuno dovrebbe interrogarsi: in questo scontro sulla legalità, io, dove mi colloco? Le donne scendono in campo. Accusano. Altre difendono (l’indifendibile). Sono ore importanti. E’ venuto il momento, per tutti, di decidere.
Mi schiero? Ecco la domanda. Oppure resto nell’ombra. Semiclandestino. In silenzio. Con i miei piccoli desideri frustrati. Mi schiero? Oppure guardo, in questo eterno “stare distante” che è un’agonia lenta, misera (miserabile). Mi schiero? Oppure osservo – si capisce, senza sporcarmi le mani – come finisce il gioco, come soffrono e muoiono gli altri, vicino, sempre più vicino, alla porta, chiusa, della mia esistenza.
Marx aprì la sua porta. Fece entrare l’esistenza degli altri nella sua vita, e ne uscì sconvolto. Ma vivo. Dobbiamo compiere lo stesso gesto: aprire l’uscio di casa e riprenderci la vita. E’ vero: l’abitudine rende sopportabili anche le cose spaventose. Ma viene per tutti il momento di decidere da che parte stare. La Calabria è terra di ‘ndrangheta. E la ‘ndrangheta non dà lavoro, frena lo sviluppo. E’ una cosa che ci riguarda? Non c’è futuro e i nostri figli scappano, i paesi si spopolano. E’ una cosa che ci riguarda? Cosa deve ancora accadere? Cosa? Perché la società civile dica, “adesso basta”, ci riprendiamo le città, il territorio, la vita. Ha ragione Lombardi Satriani: che amore è quello di un padre che fa violenza alla figlia (“Questo è il tuo matrimonio e te lo tieni per tutta la vita”), nel nome della famiglia, dell’onore, del rispetto della parola data, dell’indissolubilità dei legami. Amore? Ma via! Vogliamo dirlo (o no?) che questo è medioevo allo stato puro. Che nel 2012 esistono in Calabria sacche di “cultura” che fanno rabbrividire. Che questa mentalità è alimentata dal silenzio. Dalla paura. Vogliamo dirlo che la nostra terra è una società chiusa. Che non c’è libertà. Che a Rosarno a Gioia Tauro a Reggio, e nei paesi interni e nella Calabria tutta, il voto è sostanzialmente controllato dalla ‘ndrangheta. Che il controllo del voto dà potere. Che il potere dà denaro. Che il denaro – il Dio denaro – è il metro, la misura di tutte le cose: “Ci sono traffici di droga – cazzo – che portano miliardi. Lo vuoi capire. Lo vuoi capire. Lo vuoi capire. Firma questa lettera di ritrattazione. Pentiti di esserti pentita”. Queste parole devono averle sentite mille volte Giuseppina Pesce e Maria Concetta Cacciola e Lea Garofalo. Hanno resistito. Affrontato l’abisso. E la tragedia (“Il suicidio dimostra che ci sono nella vita mali più grandi della morte”). Hanno spezzato l’omertà e rotto con la famiglia di provenienza – queste donne -, hanno rifiutato un destino di odio e violenza. E lottato, sofferto, urlato, aperto un varco, messo in soffitta qualche pagina di Shakespeare (“Fragilità il tuo nome è donna”). Adesso tocca a noi. Il loro coraggio merita infinito rispetto: dice (anche) la nostra codardia e la nostra colpevole innocenza. Dovevamo/dobbiamo indignarci: la calma, a volte, è una vigliaccheria dell’anima.
Come liberarsi? Come?, viene chiesto al nostro giornale: intanto parlandone. Creando dibattito, discussione, opinione, coscienza critica. Cosa deve ancora accadere? Cosa? Per mettere fine a questo lancinante dolore di vite umiliate, offese, spezzate. Quando venne trovato il cadavere di Roberto Calvi, “la Repubblica”, senza attendere le indagini, titolò: “Chi ha ‘suicidato’ Calvi?” (22 giugno1982). Anche noi, oggi, dobbiamo chiederci: Chi ha “suicidato” Maria Concetta Cacciola? Chi ha suicidato Fallara? (se è vero che l’induzione al suicidio è un omicidio). Chi ha ucciso Francesco Fortugno? Chi sono i mandanti? Chi ha commissionato l’omicidio Ligato? Perché? Chi ha ucciso il giudice Scopelliti? Chi ha ucciso centinaia di persone in questo far west che è la Calabria?
Domande che ne richiamano altre: la maggioranza silenziosa vuole dare una mano, o no?, alle poche “associazioni libere”, ai giornali che resistono? I partiti ci sono ancora in questa terra di ‘ndrangheta? Dimostrino di esistere. Ora. Adesso. Subito. Questo propone “il Quotidiano”: “mille fuochi di protesta” e segnali forti.
Ora: negando a chi è in odore di ‘ndrangheta la tessera dei partiti.
Adesso: riducendo – fino a farla scomparire – la ‘ndranghetosità che copre il crimine.
Subito: organizzando una contro-manifestazione in difesa dei processi in corso a Reggio, perché sia chiaro, a tutti, che la società civile sta con i magistrati, i giudici, la legalità: non con le donne degli inquisiti. Ha detto bene Baldessarro: la Calabria è piena di innocenti “dimenticati”, ammazzati dalla ‘ndrangheta, che non hanno mai avuto giustizia e che pure avevano madri, mogli, sorelle e figli. “Loro avrebbero più diritto di altri a manifestare. Stiano dunque tranquille quelle donne: se i loro parenti sono innocenti torneranno a casa, come è giusto che sia. Se sono colpevoli sconteranno la loro pena, come è giusto che sia”. Parole sante.
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