X
<
>

Share
3 minuti per la lettura

di ALBA COSCARELLA*

Se l’8 marzo fosse una festa, questa iniziativa non avrebbe senso.
Se l’8 marzo fosse solo mimose, non varrebbe neppure la pena di parlarne.
Se l’8 marzo fosse solo pizza, birra e spogliarellisti, non meriterebbe neppure un posto sul calendario che appendiamo in cucina.
Ma l’8 marzo è il giorno della memoria, una shoah al femminile, di cui poco si sa ed ancor meno si parla.
Certo, lasciare intendere che sia solo il giorno in cui il guinzaglio a strangolo sia più allentato del solito è non solo comodo, ma anche e soprattutto tranquillizzante.
Le femmine si vestono in modo più sexy e un po’ più volgare e con la paghetta in mano trascorrono una serata ad immaginare rapporti con principi azzurri palestrati e sorridenti cui si possono rifilare in cambio di qualche sorriso ammiccante un po’ di spiccioli.
Questo vale per le femmine, non per le donne!
Le donne sono quelle che hanno ancora nelle narici, il fumo dell’incendio che nel 1908 dette origine alla manifestazione. Manifestazione, corteo, rivendicazione.
Ecco perché ancora oggi chi ha animo per intendere, ricorda questa data e ricorda soprattutto coloro che hanno nobilitato il nome di donna, infrangendo le regole, le tradizioni, i rituali che hanno sempre portato a considerare il genere femminile come seconda scelta, come il sesso debole, come il cane fedele cui dare l’osso quando obbedisce ma anche il bastone quando prova a ribellarsi.
Ancora oggi se nasci donna devi avere un po’ di coraggio in più per non limitarti a sopravvivere ma rivendicare per te il diritto alla esistenza.
Già: esistere. In alcuni casi, questo verbo si può liquidare considerandolo solo come un sinonimo di vivere, ma molto più spesso è ben altra cosa.
Esistere significa riuscire a farsi considerare, al di là del luogo in cui è stato dato di nascere e del nome che abbiamo avuto in sorte.
Ecco perché, l’iniziativa di dedicare a Pina, Maria Concetta e Lea la giornata della donna non poteva non incontrare la totale adesione del sindacato Falcri, che da sempre si batte per i diritti delle donne in un ambiente che solo apparentemente è più qualificante. Tre donne coraggiose che hanno deciso di infrangere catene che le avviluppavano senza che esse avessero commesso alcun reato per meritare di essere imprigionate in un ruolo mortificante e degradante.
Tre donne che – senza alcun appoggio, se non postumo – hanno deciso di valicare il confine tra il buio e la luce.
Tre donne del Sud che hanno saputo dare al concetto di rapporto di sangue, il giusto significato.
Ribellarsi alla ndrangheta, ai loro uomini cui un malsano senso di omertà le teneva saldamente legate; alle loro famiglie, che per la loro decisione di collaborare le hanno abbandonate e addirittura uccise.
Tre donne che hanno nobilitato l’intero genere e che per dare un senso alla vita dei propri figli non hanno esitato a mettere a rischio la loro.
Ecco perché non si può mancare a questo appuntamento.
Ecco perché chi è in grado di urlare il proprio assenso a queste persone deve essere consapevole del fatto che tacere non è più una azione di comodo ma un reato penale.
Pina Pesce, Maria Concetta Cacciola e Lea Garofalo ci hanno indicato una strada, impervia ma che pure deve essere percorsa fino in fondo per giungere a modificare totalmente la società cosiddetta onorata.
Una di loro è stata uccisa in modo orribile, un’altra è stata spinta al suicidio, ma chi pensava di averle così costrette al silenzio si è dovuto ben presto ricredere; proprio ora che non ci sono più, la loro voce si alza alta, forte e chiara per spingere tutte noi, che abbiamo un contesto personale, familiare, sociale apparentemente migliore del loro, ad essere al loro fianco, condividere i loro ideali. Tutte noi dobbiamo avere il coraggio di unire le nostre mani per perseguire questo scopo e percorrere insieme questo tragitto.
Se non ora, quando? ADESSO!!!!

*dirigente sindacale “Falcri Donna” Gruppo Ubi Banca

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE