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di PIETRO MANCINI

E’ giusto sottolineare- come ha fatto “Il Quotidiano della Calabria”- il coraggio di Lea Garofalo e di Maria Concetta Cacciola, pagato con la morte, a causa, oltre che della ferocia delle ‘ndrine, dell’incultura, dell’ignoranza dei nuclei familiari, al cui interno sono maturate queste torbide tragedie.
Anch’io, molti anni fa, conobbi una donna fiera e dignitosa, che mi accolse, con cortesia, in casa sua, a Cetraro, quando ancora, giovane candidato alle elezioni, speravo, anzi mi illudevo, di poter contribuire a rinnovare la politica. Maria Avolio, questo il nome della signora, aveva sfidato, con il marito- un commerciante venuto dal Nord in Calabria per lavorare onestamente- la cosca del “re del pesce”, Franco Muto, rifiutando di pagare una tangentona, impostagli dal clan che spadroneggiava, a colpi di omicidi e di taglieggiamenti, in quel bel paese e nella zona del Tirreno cosentino. Risultati? Tragici. Il marito, Lucio Ferrami, ucciso, tante denunce della vedova alle “locali, competenti autorità” insabbiate. Come 25 anni fa Maria, anche Lea e Cetta hanno avvertito l’assenza degli organismi dello Stato. Dov’erano, e cosa hanno fatto, i ministri, il plotone di parlamentari, quasi sempre silenziosi, nominati dalle segreterie dei partiti, i funzionari e gli ufficiali delle forze dell’ordine, quando Lea cercava di sottrarsi alla pena di morte – una prima volta, a Campobasso, riuscendovi- decretata dallo spietato clan di Cutro, o quando Cetta cercava di liberarsi dalle opprimenti catene di una famiglia, che le imponeva solo umilianti vessazioni? Lo Stato era assente, ha lasciato sole queste donne, che non si erano rassegnate a subire prepotenze, emarginazioni, angherie. Eppure, come fu sostenuto autorevolemente, molti anni fa, qualora, in Calabria, il 50 per cento degli amministratori, delle forze dell’ordine, della magistratura e dei politici facesse il proprio dovere, la criminalità mafiosa avrebbe vita difficile. “La Calabria onesta non abbasserà la guardia! Lei, signora Maria, potrà contare sull’impegno civile di persone che, come Lei, non si rassegnano alle prepotenze”, dissi, molti anni fa, giovane e speranzoso, alla vedova di Lucio Cerami che, seppure con un sorriso amaro, mi strinse la mano e dimostrò di apprezzare le mie parole. Non so se la signora Avolio viva ancora in Calabria. Oltre che salutarla, vorrei scusarmi con Lei per non esser riuscito, pur avendoci provato, nel periodo della mia attività politica, molto breve e contrastata, a mantenere gli impegni di cambiare, in meglio, le cose, dall’interno degli organismi elettivi. Dunque, la politica ha le sue responsabilità, non lievi. Ma vicende agghiaccianti, come quelle di Lea e di Cetta – la prima, collaboratrice di giustizia e trucidata, la seconda maltrattata dai congiunti e spinta al suicidio – ci spalancano le porte di una Calabria tragica e vetusta, ma ancora, purtroppo, non sepolta nei polverosi archivi. La regione dei clan, che tramandano ai figli e ai nipoti, anche quando si trasferiscono al Nord, le leggi delle cosche, il “rispetto”, l”onore”, la punzione dei “tradimenti”. La stampa può tentare – mettendo in risalto il sacrificio di donne coraggiose, ma drammaticamente sole – di non soffocare le speranze dei giovani e di quanti si sforzano di guardare, pur tra difficoltà e pericoli, tra minacce e avvertimenti mafiosi, al futuro, cercando di liberarsi dalle vecchie e ingombranti zavorre del passato. Le istituzioni, i media, i docenti degli Atenei, gli intellettuali e i calabresi onesti non possono leggere, indignarsi e dimenticare Cetta e Lea, dopo averne fatto i simboli della prossima festa delle donne. Così come non fu sufficiente, 25 anni fa, la medaglia degli amministratori di Cetraro alla vedova del commerciante, eliminato dallo spietato clan locale. Ai genitori di Cetta, forse, rimarrà il rimorso per il disperato gesto della figlia, che si è immolata sull’altare della lealtà a una ‘ndrina. Alla maggioranza dei calabresi, invece, spetta l’ineludibile scelta tra sangue e voglia di riscatto. Le istituzioni assicurino aiuti e solidarietà alla figlia di Lea Garofalo, nata da un’infelice unione tra una “mamma coraggio” e un sanguinario picciotto. E dimostrino alla sfortunata ragazza e alla collettività che saranno, concretamente, vicine ai cittadini più esposti ai tentacoli della ‘ndrangheta. Come, nelle zone maggiormente infestate dalle cosche, da molti anni, lo sono i parroci, i vescovi e la Cei, che da tempo reclamano,vanamente, nel Sud, una ben più diffusa eticità nella politica e nella amministrazione.

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