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di MARIO LETTIERI*
e PAOLO RAIMONDI**
Nell’ultimo summit del Consiglio Europeo tenutosi a Bruxelles a fine gennaio si è parlato molto del “Trattato di stabilità, di coordinamento e di governance”. Il documento mette però al primo posto ancora una volta il rigore e non la ripresa. E’ la linea della Merkel che, indecisa sul futuro dell’Europa, si barcamena tra il “grande disegno” dell’Unione economica e politica europea e le provinciali paure elettorali ed ideologiche della “piccola” Germania.
Chi, come noi, crede nell’Europa e in suo governo federale, avrebbe voluto che si ponesse più attenzione ai punti programmatici della crescita e della creazione di posti di lavoro. Comunque nella Dichiarazione finale qualche cosa di positivo c’è.
Partendo dall’amara constatazione del fatto che la disoccupazione in Europa ha superato i 23 milioni di unità, con una incidenza media maggiore tra i giovani e le donne, il Consiglio ha invitato i Paesi membri a varare Piani nazionali per il Lavoro.
Per affrontare a breve e a più lungo termine l’emergenza della disoccupazione giovanile si propone, tra l’altro, l’adozione di misure per accompagnare i giovani verso le prime esperienze di lavoro, per non lasciarli soli alla fine degli studi o in caso di abbandono di essi.
Il fulcro di tali progetti dovrebbe essere una nuova concezione e il rilancio dell’apprendistato. Nonostante gli effetti più deleteri di una globalizzazione “fai da te”, taluni paesi, come la Germania ed altri del Centro-Nord Europa, hanno cercato di mantenere un efficiente sistema di apprendistato e di training per giovani che scelgono un futuro lavorativo basato sui tradizionali mestieri o su quelli più moderni di alta qualificazione.
In questi Paesi vi sono tanti istituti dedicati ai mestieri che operano in sinergia con il mondo dell’industria ed inseriscono direttamente i giovani nelle fabbriche per lunghi periodi di apprendistato o di training.
Per molti di questi giovani, quindi, il passaggio tra la scuola ed il mercato del lavoro è mediato, guidato, alleviato.
In Italia invece per una serie di cause abbiamo eliminato quasi completamente l’apprendistato. Negli anni Cinquanta e Sessanta i nostri giovani, soprattutto nelle regioni del Sud, sono stati costretti all’emigrazione. Invece della valorizzazione dei mestieri si è privilegiato ovunque il sogno di un posto nella Pubblica amministrazione. Le Regioni, purtroppo, hanno ampliato il fenomeno con varie forme di assunzioni dirette in enti e società sub regionali, spesso senza alcun concorso ed in modo clientelare.
Inoltre in molte realtà italiane si registra anche una distanza enorme tra il mondo dell’industria e del lavoro e la qualificazione rilasciata dalle scuole e dalle università.
All’Italia può giovare molto il rilancio dell’apprendistato. Si tratta in certo qual modo di riscoprire le radici dei nostri politecnici e dei nostri istituti tecnici e professionali che hanno affiancato in modo determinante i processi iniziali di industrializzazione.
La riproposta dell’apprendistato è un approccio positivo per far fronte alla disoccupazione giovanile. Un tale sistema può essere anche la base per la integrazione e la riqualificazione di coloro che, in età più avanzata, dovessero perdere il lavoro. Infatti, mentre in Italia chi è licenziato deve arrangiarsi a sopravvivere, in Germania, per esempio, gli Arbeitsamt, gli uffici di collocamento, non abbandonano i disoccupati ma li guidano nella ricerca di un nuovo lavoro oppure in un processo di riqualificazione.
Nel summit si è discusso non poco anche del completamento del Mercato Unico. In questo campo Mario Monti ha senz’altro svolto un ruolo incisivo anche alla luce della sua passata esperienza di Commissario europeo per l’unificazione e la semplificazione dei regolamenti del mercato interno europeo.
Si è deciso di introdurre regole univoche e standardizzazioni nei vari settori dell’economia e dei mercati e di superare certe vecchie barriere commerciali, con un’attenzione privilegiata per le Pmi, al fine di favorire la ripresa economica e la crescita dell’occupazione. Riteniamo che il “sistema Italia” abbia tutto da guadagnare nel processo di digitalizzazione e di semplificazione delle procedure e di modernizzazione dei processi produttivi.
Il Consiglio europeo riconosce che, nonostante i finanziamenti della Bce alle banche, una serie di difficoltà, compresi gli effetti di Basilea III, potrebbero produrre un credit crunch, di cui in Italia si avvertono già forti segnali.
Perciò è condivisibile la sollecitazione ad un ruolo più attivo della Banca Europea per gli Investimenti verso le Pmi e le infrastrutture. Si chiede anche un rapido varo dei “project bond” allo scopo di stimolare la partecipazione finanziaria dei privati in progetti infrastrutturali chiave.
I project bond, secondo noi, possono diventare degli strumenti strategici per allontanare grandi settori della finanza e gli investitori istituzionali, come i fondi pensione, dalla speculazione e dalle operazioni a breve e spingerli verso i finanziamenti di lungo termine nei settori dell’economia reale. Sarebbe così una vera correzione ai malfunzionamenti e alle degenerazioni finanziarie che sono state alla base della grande crisi del 2007-8, ancora non superata.
*Sottosegretario all’Economia nel governo Prodi
**Economista
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