X
<
>

Share
3 minuti per la lettura

di FRANCA FORTUNATO

Gentile direttore, ho accolto con convinzione il suggerimento che lei ha avanzato alle donne calabresi di dedicare la Giornata Internazionale della donna a Giuseppina Pesce, Maria Concetta Cacciola e Lea Garofalo, perché dimostra, da parte sua, un’attenzione particolare per quanto, in quest’ultimi anni, si muove nel mondo della ‘ndrangheta, che sta facendo i conti con l’imprevisto della libertà femminile. Pur facendo mia la sua proposta, mi permetta, però, di avanzare alcune osservazioni, per evitare alcuni rischi, che ho intravisto in alcuni interventi. Queste tre donne non vanno separate da tutte le altre, non sono donne eccezionali, ma donne “comuni” in un mondo in cui la libertà femminile fa paura a tanti uomini, anche e ancor di più ai mafiosi. Vanno, pertanto, ricordate e riconosciute tutte le donne che con le loro scelte stanno erodendo sin dalle fondamenta la forza della ‘ndrangheta. Mi riferisco a Tina Buccafusca, moglie del boss Panteleone Mancuso di Nicotera, “suicidata” prima che iniziasse la collaborazione con i magistrati; a Ilaria La Torre, ex moglie di Francesco Pesce, che sta testimoniando contro il marito al processo “All Inside”; alle sindache Elisabetta Tripodi di Rosarno e Carolina Girasole di Isola Capo Rizzuto, che quotidianamente difendono il loro desiderio di governare con libertà la propria Comunità. Mi riferisco ad Annamaria Molé e Roberta Bellocco, appartenenti a due delle più potenti famiglie mafiose della Piana di Gioia Tauro, studentesse del Liceo scientifico di Rosarno, che in un convegno sulla legalità hanno dato testimonianza del loro desiderio di essere libere di poter vivere la propria vita, nonostante il nome che portano. Mi riferisco alla figlia di Lea Garofalo, Desirè che si è costituita parte civile contro il padre, in nome della madre. Mi riferisco ad Anna Maria Scarfò di Taurianova, che ha denunciato e mandato in carcere i suoi violentatori. Mi riferisco a tutte le donne che, in ogni luogo, a partire dalla casa, lottano quotidianamente per affermare la loro libertà. Mi riferisco alle donne che nelle scuole, frequentate anche dalle figlie dei mafiosi, insegnano alle più giovani l’autorizzazione ad essere libere, contribuendo così alla fine della ‘ndrangheta. Insomma, anche in Calabria c’è tutto un mondo femminile che sta cambiando, e Giuseppina Pesce, Maria Concetta Cacciola , Lea Garofalo, sono parte di esso. Gli strumenti di queste donne, come di tutte quelle che hanno distrutto il patriarcato, togliendo ad esso la propria credibilità, sono la consapevolezza di sé e l’ amore per la libertà propria e delle proprie figlie e figli. La loro non è “resistenza civile”, ma affermazione di sé e del proprio desiderio, a costo anche della propria vita. E questo, ne sono convinta, ha un valore molto più alto di mille manifestazioni. La vera lotta alla ‘ndrangheta, come lei stesso direttore ha scritto, è “fatta di piccoli e grandi gesti quotidiani”. Molte donne, in questa regione, lo stanno facendo. La ‘ndrangheta che uccide le proprie donne perché la “tradiscono”, dopo che generazioni di donne le hanno garantito omertà e complicità, non è diversa dai tanti uomini che ogni giorno, in ogni parte del mondo uccidono le donne (mogli, fidanzate, ex, figlie, sorelle), quando tentano di riappropriarsi della propria vita e li abbandonano. Quello a cui stiamo assistendo, io credo, è la fine del patriarcato mafioso. Alto è il prezzo che molte, troppe, stanno pagando. Separare Pesce, Cacciola e Garofalo dalle loro simili, significa indebolire la forza delle loro scelte. Mi auguro che l’8 marzo non venga trasformata in una manifestazione di tutti contro la ‘ndrangheta. In prima linea troveremmo magari molti di quegli intellettuali e di quei docenti universitari, che saranno d’accordo con la sua proposta, pronti a firmare e a “partecipare” purché siano “visti”, che a Cosenza hanno disertato la “lezione” di Pignatone, che aveva capito la forza delle donne nella lotta alla ‘ndrangheta. Lei c’era a quella manifestazione, e con lei c’erano non più di dieci docenti Unical. Gentile direttore apprezzo la sua proposta e spero che venga lasciato alle donne, e solo alle donne, perché a loro appartiene l’8 marzo, di farla propria, nei modi in cui ognuna, individualmente o assieme ad altre, deciderà.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE