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di PIETRO AMATO

La decisione del Governo Monti sulle Province rappresenta un errore, frutto di pregiudizio, una concessione alla polemica anti-casta oggi imperante. Il Governo non poteva certo sottrarsi alla polemica dell’abolizione delle Province. Il tema è da considerare di stretta attualità e di imprescindibile soluzione perché la stampa nazionale e locale continuano a chiederlo con insistenza. Le Province vanno abolite perché costano dai 14 ai 17 milioni di euro.
Confondono il concetto di costo con quello di spesa. E’ un approccio totalmente sbagliato e fuorviante, sulla base del quale, inquinando le informazioni, si lascia credere che abolite le Province che costano appunto dai 14 ai 17 milioni di euro lo Stato risparmia appunto la medesima somma.
Le Province non costano dai 14 ai 17 milioni di euro, bensì spendono una serie di risorse per svolgere i loro servizi.
I costi sono legati al funzionamento delle attività che per il personale è di circa 2,5 milioni di euro relativi ai circa 54.000 dipendenti.
Né può giustificarsi con l’esigenza del risparmio urgente per le particolari condizioni in cui versa il nostro Paese perché comunque il processo di chiusura delle Province sarebbe lento, graduale e costosissimo. Basti pensare alla quantità immensa di atti per il passaggio del personale, dei beni, dei contratti, dei debiti, del patrimonio da un ente ad un altro.
Così come alla fine si potrebbe non raggiungere alcun risparmio, visto che nulla vieta alle Regioni di costituire laddove v’era una sola Provincia, un numero imprecisato di forme associative comunali.
La mia personale esperienza può anche servire per un’attenta riflessione. Da presidente ho trascorso la maggior parte del mio tempo a provvedere alla tripartizione del patrimonio della Provincia di Catanzaro, perché un gruppo di parlamentari e consiglieri regionali, nonché i responsabili dei partiti hanno determinato la eliminazione della Provincia più grande senza un piano serio di costituzione di nuove Province, coinvolgendo l’intero territorio regionale e senza alcun dibattito tra la gente e nelle istituzioni interessate.
Cinque anni dal 1990 al 1995 trascorsi per la tripartizione del patrimonio.
Ancora oggi dopo più di 15 anni sono aperti problemi relativi a debiti e crediti che appartengono alla vecchia Provincia di Catanzaro.
Per non parlare delle difficoltà incontrate dalla Regione Calabria, se è vero che ancora oggi stiamo aspettando lo scioglimento dell’Afor.
Certo molti errori si commettono; basti pensare che abbiamo sul territorio nazionale assessori: alla pace, alla gioventù, ai rapporti con l’estero, alle pari opportunità, alla promozione degli spettacoli, all’immigrazione, eccetera.
Non sarebbe stato più opportuno porsi il problema della permanenza di tanti consorzi, di Autorità di Bacino, Unione di Comuni, Enti-Parco, Gal, Fiald, eccetera?
Nell’ultimo consiglio regionale la maggioranza costituisce ed approva un’altra Fondazione degli emigrati all’estero. Non poteva la partita seppure importante, specie in Calabria, essere gestita dall’assessorato al Turismo o dal Dipartimento all’emigrazione?
La verità è che da un po’ di tempo non è passato giorno che sui giornali non si parlasse dei costi della politica e dell’abolizione delle Province.
Gli ultimi provvedimenti, accettati da molti con entusiasmo, mi preoccupano enormemente, si aboliscono le circoscrizioni, si tenta d’eliminare gli organismi democratici dei piccoli comuni, si diminuisce il numero dei consiglieri comunali, si eliminano le Province. Molto presto vedrete si ridurrà, forse giustamente, il numero dei consiglieri regionali e dei parlamentari.
Ma veramente andiamo verso una riduzione dei costi della politica o c’è il rischio di limitare la rappresentanza democratica in Italia?
Dove dovranno trovare spazio le giovani generazioni per iniziare a fare attività politica? Stiamo scegliendo di assegnare alle lobby, alle associazioni di categoria, alla massoneria o ad altre organizzazioni ben presenti non solo in Calabria ma nell’intero Paese la possibilità di proporre candidati che possono risultare eletti avendo bisogno, anche per consigliere comunale di un numero consistente di voti.
Da un po’ di tempo abbiamo a che fare con una mortificazione costante e continua delle autonomie locali che rappresentano la specificità dei territori. Si sta perpetrando un danno alla storia del nostro Paese.
Mi appassiona di più questo aspetto e non invece altri slogan che molti portano avanti facendo riferimento persino al regime fascista quando con un decreto sono stati sciolti degli organismi eletti democraticamente.
Oggi con queste decisioni viene alimentato un atteggiamento di fastidio verso non solo i partiti ma anche i rappresentanti istituzionali con la riproposizione di espressioni e slogan che hanno caratterizzato le pagine più oscure della nostra storia.
Se si aggiungono “Roma ladrona” o le battute contro il presidente della Repubblica e gli scontri istituzionali portati avanti dalla Lega possono formare una miscela esplosiva che può avviare un declino inassestabile della nostra democrazia.
Sulla base di queste considerazioni ho molto apprezzato il documento della Provincia di Cuneo con il quale si sostiene che questo nostro sistema meriti di essere semplificato. Bisogna semplificare tutto, nessuno escluso, neppure le Province. Così come ho apprezzato la posizione della Regione Lombardia: l’art. 23 della legge 214 contiene un’impostazione del tutto frettolosa e scoordinata. La necessità assoluta di una semplificazione della Pa può e deve portare ad una maggiore efficienza dei vari livelli di governo.
Diventa decisivo il ruolo delle Regioni che da anni avrebbero dovuto emanare una serie di provvedimenti per delegare la gestione della cosa pubblica.
Le Regioni si sono ben guardate dal decentrare e dal delegare, tradendo quindi lo spirito della legge che aveva pensato la Regione come ente che legifera e dà indirizzi. Un ente di programmazione e di governo.
Fino ad oggi invece la maggior parte delle Regioni, con poche eccezioni, si è sostituita agli enti locali anche con iniziative di spesa e di gestione che riguardano competenze comunali senza un reale coinvolgimento degli enti locali nelle scelte, con una politica clientelare, a pelle di leopardo, a seconda della provenienza dei singoli consiglieri.
In un paese serio la semplificazione della Pubblica amministrazione si affronta in modo complessivo e serio evitando sovrapposizioni, con una griglia di competenze assolutamente tassativa.
Vedremo poi i risultati, le valutazioni da compiere con ponderazione anche in termini di riduzione dei costi senza essere indirizzati da facili articoli di giornali che condizionano e veicolano il fastidio di tutti i cittadini verso le istituzioni.

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