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La ‘ndrangheta di Gioia Tauro dovrà risarcire di nove milioni di euro la Provincia di Reggio Calabria. La decisione è stata assunta dal tribunale di Palmi a conclusione del processo civile promosso dell’Ente di via Foti nei confronti di Giuseppe e Gioacchino Piromalli, Girolamo Albanese, Domenico Stanganelli, Luigi Emilio Sorridente e Antonio Zito per i reati accertati nell’ambito dell’Operazione «Porto”. Dopo le condanne nei due giudizi di merito e il rigetto del ricorso per”Cassazione proposto dagli imputati, in cui l’Ente, rappresentato dall’avv. Pietro Catanoso, si era costituito parte civile, il dirigente del Settore Avvocatura della Provincia, avv. Attilio Battaglia, aveva ritenuto opportuno procedere ulteriormente per ottenere in sede civile la quantificazione dei danni subiti in conseguenza dei reati commessi. All’esito del giudizio civile il dott. Paris ha ritenuto fondata la domanda di risarcimento ed ha condannato i due i Piromalli, Albanese, Stanganelli, Sorridente e Zito al pagamento, in solido, in favore dell’Ente della somma di 9.000.000, oltre alla rifusione delle spese del giudizio.
«Il riconoscimento, in sede penale prima, e ora in quella civile, dà il senso concreto di un’Amministrazione Provinciale che intende perseguire concretamente il bene comune, al di là degli slogan e dell’antimafia di facciata», dice il Presidente della Provincia Giuseppe Raffa il quale sottolinea che la decisione della magistratura palmese «dimostra la linearità e la correttezza dell’Amministrazione provinciale nella lotta alla criminalità organizzata e nel garantire il rispetto della legalità».
«Non appena queste somme saranno disponibili ed entreranno nelle casse dell’Ente – sottolinea Raffa – intendiamo investirle nell’area di Gioia Tauro, in particolare nel retroporto e rilanciare così le attività legate allo scalo che necessita di ulteriori e maggiori attenzioni da parte della Pubblica Amministrazione. Si potranno realizzare – conclude il presidente della Provincia – nuove strutture a supporto della logistica per agevolare le opportunità occupazionali e per sviluppare un disegno organico di crescita economica non solo del porto, ma dell’intero comprensorio gioiese». I fatti risalgono alla metà degli anni ’90, quando furono arrestate numerose persone accusate di essersi associate tra loro nell’ambito della criminalità organizzata operante nel territorio dei comuni di Gioia Tauro, Rosarno e San Ferdinando. Un gruppo criminale composto dalle ‘ndrine Piromalli-Molè, che esercitava il suo potere nel territorio di Gioia Tauro, e Pesce e Bellocco egemone a Rosarno, ed entrambe anche nel territorio di San Ferdinando. Un’organizzazione mafiosa che aveva lo scopo, attraverso la forza intimidatrice, di trarre illeciti profitti dalle attività economiche, in gran parte finanziate dallo Stato, da altri enti pubblici nazionali e dalla Comunità Europea, per il completamento del porto, l’inizio della sua attività e l’adeguamento e sistemazione della circostante area. Tra le altre finalità criminali figuravano: l’influenza nelle decisioni della pubblica amministrazione, relative all’assetto territoriale dell’area interessata e, contestualmente, ottenere il favore e la complicità di pubblici ufficiali; il conseguimento di vantaggi patrimoniali dalle imprese operanti nel territorio attraverso affidamenti di lavori per l’erogazione di forniture di beni e servizi (da distribuire in base a precisi accordi di ripartizione territoriale intercorsi tra le dette ‘ndrine), l’assunzione di mano d’opera, ovvero direttamente attraverso la corresponsione di somme di denaro a titolo estorsivo; l’accaparramento fraudolento di contributi e/o agevolazioni economico-finanziarie anche attraverso la partecipazione allo svolgimento delle attività produttive nell’area portuale e nella circostante zona industriale.
L’attività d’indagine evidenziò anche che la ‘ndrangheta di Gioia Tauro aveva deciso di costringere le società «Medcenter», nella persona del suo vice presidente Walter Lugli, e «Contship», nella persona del suo presidente Enrico Ravano, a versare una tangente corrispondente alla somma di 1,50 dollari per ogni container scaricato, pari al 50% degli effettivi profitti conseguiti dalle società per ogni container. Nella costituzione di parte civile della Provincia, gli avvocati Catanoso e Battaglia hanno chiesto che in sede di quantificazione dei danni patrimoniali si tenesse conto «dell’ostacolo posto allo sviluppo socio-economico del territorio per effetto della presenza e influenza della consorteria mafiosa e dell’attività estorsiva posta in essere dagli imputati. Il tutto per come emerso dal processo penale, che ha accertato l’alterazione delle regole del mercato e della concorrenza ai danni delle imprese locali, rappresentando così un fattore di disincentivazione allo spirito di intraprendenza imprenditoriale nonchè serio ostacolo alla capacità del territorio di attirare nuovi investimenti di capitali al fine di garantire l’insediamento di altre realtà produttive nel territorio della Provincia». Nella richiesta di danni non patrimoniali, il Tribunale è stato sollecitato a tenere conto del «discredito arrecato alla reputazione e all’immagine dell’ente e alla sua popolazione, in virtù della presenza nel proprio territorio di tali consorterie mafiose». Nel corso del processo è stata prodotta numerosa documentazione -in particolar modo servizi di testate giornalistiche nazionali- diretta a dimostrare l’enorme clamore e quindi la gravità del danno all’immagine subito dal territorio della Provincia di Reggio Calabria.

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