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Operazione questa mattina della Polizia di Stato nell’ambito dell’indagine che il 30 novembre scorso ha riguardato il clan ‘ndranghetista Valle-Lampada, in più città italiane. Coinvolti «pubblici ufficiali» ritenuti «fiancheggiatori» della cosca. Le precedenti indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini (in foto) e dai pm Paolo Storari e Alessandra Dolci, avevano al centro il clan Valle-Lampada, già decimato nel luglio del 2010.
Erano stati arrestati Giulio Lampada, ritenuto «il regista di tutte le operazioni» e il fratello Francesco, gestori di bar e locali, e veri e propri imprenditori nel settore dei giochi di azzardo, la moglie di quest’ultimo, Maria Valle (ai domiciliari), suo fratello Leonardo, il presidente delle misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, Vincenzo Giuseppe Giglio, il cugino medico Vincenzo, il consigliere regionale della Calabria Francesco Morelli (Pdl), l’avvocato Vincenzo Minasi, il maresciallo della Guardia di Finanza Luigi Mongelli e un ‘fedelissimo’, Raffaele Fermino.
Nell’ordinanza si facevano poi i nomi di due funzionari che avrebbero “mostrato di intrattenere relazioni di speciale privilegio e compiacenza con i Lampada”: il direttore di un’agenzia Unicredit di Milano e quello di un’agenzia di Paullo del Credito Bergamasco.
Nell’ambito delle indagini che nei mesi scorsi avevano già portato in carcere un avvocato, un politico e un magistrato calabrese, era emerso che il gip del Tribunale di Palmi Giancarlo Giusti, solo indagato, si faceva pagare viaggi ed escort dagli uomini del clan Lampada.
Tra le persone arrestate dunque, anche tre uomini della Guardia di Finanza del gruppo di via Valtellina, sui quali hanno indagato i loro stessi colleghi. I tre si sarebbero fatti corrompere con 40mila euro al mese per consentire agli affiliati al clan di evitare controlli.
I tre finanzieri, in particolare marescialli sono accusati di aver omesso i controlli su alcuni videopoker del clan Lampada. In cambio, secondo l’accusa avrebbero intascato dai 40 ai 60 mila euro ogni mese. Si tratta di Michele Noto di 39 anni, Luciano Russo di 36 anni e Michele Di Dio di 34 anni.
Oltre a tre finanzieri, accusati di corruzione, il direttore del lussuoso Hotel Brun in via Novara a Milano, accusato di favoreggiamento personale. In carcere con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa anche Domenico Gattuso, ritenuto dagli inquirenti uno dei soci ‘chiave’ del clan dei Lampada. Gattuso è stato arrestato a Reggio Calabria e sarà portato in carcere a Milano. L’uomo, secondo l’accusa, avrebbe aperto numerose società per conto dei Lampada, avrebbe gestito contatti istituzionali e avrebbe avuto un ruolo nella fuga di notizie riguardo a un’indagine della magistratura calabrese, la cosiddetta operazione ‘Meta’.

LE ACCUSE CONTESTATE AGLI ARRESTATI DI OGGI
Oltre ai tre marescialli della guardia di finanza, i provvedimenti emessi questa mattina hanno colpito anche Domenico Gattuso, nato a Reggio Calabria, di 36 anni e Vincenzo Moretti, nato a Foligno, di 69 anni. L’accusa per entrambi è concorso esterno in associazione mafiosa. Gattuso è stato arrestato, Moretti è agli arresti domiciliari. A Domenico Gattuso, imprenditore, viene contestato di aver fornito un apporto all’associazione mafiosa «incontrando e fornendo informazioni a Francesco e Giulio Lampada, con i quali si sarebbe visto periodicamente in Calabria e a Milano». Gli viene contestato anche di aver contribuito «a far ottenere al sodalizio criminoso mutui, finanziamenti, apertura di conti correnti, costituzione di società». Avrebbe anche aiutato Giulio Lampada e Leonardo Valle a pianificare una strategia per eludere i servizi di pedinamento della Squadra Mobile di Milano e Reggio Calabria, adottando «precauzioni tipiche delle associazioni criminali». A Vincenzo Moretti viene contestato, in qualità di direttore del Grand Hotel Brun di via Novara a Milano, di aver aiutato alcuni membri del clan ad eludere i controlli delle autorità. Moretti avrebbe consentito soggiorni nell’albergo di personaggi vicini al clan, «soggiorni le cui spese erano pagate in contanti o con assegni di conti correnti intestati alle società facenti capo al sodalizio da Giulio Lampada».

PRIMA FASE DELL’INCHIESTA

L’AVVOCATO MINASI PARLA DELL’IMPRENDITORE GATTUSO
«Poteva guardare il computer dei carabinieri ma non poteva guardare il computer dello Sco e della polizia e quindi non poteva sapere chi c’era dietro all’indagine». Così l’avv. Vincenzo Minasi, arrestato il primo dicembre dello scorso anno nella prima fase dell’inchiesta della Dda milanese sulla cosca Lampada, parla dell’imprenditore Domenico Gattuso, di 36 anni, arrestato stamani dalla squadra mobile nella prosecuzione delle indagini. La circostanza si rileva dall’ordinanza di custodia cautelare del gip di Milano. Parlando della fuga di notizie dell’inchiesta Meta della Dda di Reggio Calabria, Minasi, che ha anche riferito che Gattuso, socio dei Lampada in varie attività, assumeva le informazioni da un colonnello del Ros amico del padre, ha poi sostenuto di avere saputo da Gattuso, verso aprile/maggio, che gli atti erano stati trasferiti a Milano. «La notizia che fornisce Gattuso – scrive il gip – è tremendamente esatta e presuppone una conoscenza ‘interna’ delle sorti del fascicolo, anche dopo la chiusura della indagine».

MINASI: “IL CONTATTO DI MORELLI ERA POLLARI DEL SISMI”
Franco Morelli, l’ex consigliere regionale della Calabria arrestato nel dicembre scorso nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Milano sulla cosca Lampada, vantava contatti negli ambienti dei servizi segreti, da cui apprendeva notizie sulle indagini per girarle ai Lampada, e ha anche fatto il nome dell’ex direttore del Sismi, Nicolò Pollari.
A riferirlo è ancora l’avv. Vincenzo Minasi, arrestato a dicembre, nell’interrogatorio al pm Ilda Boccassini. Parlando di un incontro del dicembre 2009 tra lui, Giulio Lampada e Morelli, Minasi riferisce che parlarono «del procedimento Meta e delle indagini che si stavano svolgendo sia per Lampada sia per i Valle sia per i Condello».
Morelli, dice Minasi, «in quella occasione non portò notizie dalla Calabria, portò notizie da Roma. Nel senso che lui disse ‘Sono stato a Roma dai miei amici, i quali mi hanno confermato che c’è l’indagine su Milanò, e fu quella volta che ebbi proprio la conferma della indagine su Milano… Queste furono le notizie che portò Morelli da Roma». Successivamente Minasi ha detto: «Morelli, mi disse che aveva delle buone entrature nei servizi segreti e mi fece il nome di Nicola Pollari. Ora che ho consultato i miei appunti posso dire che l’incontro, se c’è stato ovviamente, con Pollari o qualcun altro dei servizi segreti è da collocare tra il 9 dicembre 2009 e il 21 gennaio 2010. Tenga conto che quando io ho dato i documenti da me falsificati a Giulio Lampada e quest’ultimo li ha portati a Morelli il 18 gennaio, non posso escludere che Morelli abbia mostrato questi documenti a qualcuno dei servizi o comunque allo stesso Pollari dal 18 gennaio al 21 gennaio».
«Naturalmente – scrive il gip – il riferimento ad ambienti dei servizi – riferimento ancora più preciso a proposito del ‘Nic..’ al quale Morelli si rivolgerà più avanti per mostrare alcuni documenti esibiti da Lampada – è preoccupante. La circostanza va evidentemente approfondita, anche perchè Minasi – pur prendendo per vere le sue dichiarazioni – parla di circostanze apprese da terzi. Peraltro viene quasi naturale accostare queste asserzioni alla ‘stranà visita che Giglio Vincenzo farà al capocentro Aisi di Reggio, chiedendo notizie sulla indagine. Difficile pensare di fare certe domande se non si pensa di potere ottenere delle risposte».

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