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di DOMENICO TALIA
La coincidenza intenzionale dell’inaugurazione del quarantesimo anno accademico dell’Università della Calabria con la cerimonia del conferimento della laurea honoris causa in Filologia moderna a Roberto Benigni ha avuto il merito di focalizzare l’attenzione e l’interesse del grande pubblico sull’Unical. Allo stesso tempo, il conferimento della laurea a Benigni durante i festeggiamenti per il quarantesimo anniversario della prima Università calabrese ha avuto il torto di eludere, e di fatto impedire, una profonda riflessione sul presente e sul futuro dell’ateneo calabrese in questo anniversario importante che coincide con l’avvio di grandi cambiamenti strutturali nell’università. L’attenzione è stata richiamata soprattutto grazie alla presenza di uno dei più grandi attori italiani che ha saputo unire l’intelligenza e il senso civile alla comicità e che negli ultimi anni ha contribuito a diffondere verso grandi platee le opere di uno dei più grandi italiani di sempre, Dante Alighieri. Ma questo evento non ha certo aiutato lo sviluppo di una reale discussione sulla missione culturale dell’Unical, sul suo ruolo di centro di innovazione e di pensiero critico e sulla sua strategia di centro culturale del Mezzogiorno e sede universitaria tra le più importanti d’Italia. Purtroppo, l’inaugurazione dell’anno accademico con la contemporanea partecipazione dell’attore e regista toscano ha generato tante, forse troppe, discussioni essenzialmente centrate sull’organizzazione della partecipazione degli studenti e del personale dell’Università alla cerimonia nella sala del nuovo teatro, che per quanto grande, è comunque necessariamente limitata e sull’opportunità di conferire questo titolo accademico ad una personalità come Benigni, che certamente lo merita più di altri che lo hanno ricevuto in passato dall’Unical. Sarebbe stato molto più opportuno e necessario che la ricorrenza del quarantesimo anno dell’Unical fosse servita come occasione per organizzare diversi momenti di festa (inclusa la laurea del toscanaccio Benigni) capaci di coinvolgere maggiormente l’intera comunità universitaria senza escludere nessuno e per avviare un dibattito culturale sul ruolo dell’Unical nel contesto sociale in cui si trova ad operare e sul futuro di questa importante istituzione culturale in una fase storica di enorme crisi sociale ed economica. Una fase fatta di tagli senza precedenti alla ricerca e alla formazione che, di fatto, mettono in crisi il modello culturale delle università del mondo occidentale, e italiane in particolare, e sempre più restringono l’accesso alla formazione universitaria dei figli delle classi meno abbienti e addirittura della classe media. L’università in Italia, come in altre nazioni europee, sta tornando ad essere classista realizzando così una involuzione che porterà ad un nuovo cultural divide peggiore del digital divide di cui giustamente si parla tanto. Oltre alle difficoltà di far studiare gli studenti bisognosi e meritevoli, la realtà universitaria italiana non è più capace di accogliere le ultime generazioni di giovani studiosi che in essa si formano. L’Università italiana invecchia paurosamente mentre rifiuta di usare il sapere dei suoi giovani migliori. E’ infatti noto a tutti che le università italiane si trovano in un triste stato a causa dei finanziamenti molto scarsi e di qualche scandalo dovuto a baronie familiari (le baronie sono, per storica definizione, familiari). Nonostante questo triste stato, è opportuno e confortante notare come vi siano tanti ricercatori e docenti universitari, all’Unical come nelle altre università, che fanno di più di quanto viene loro richiesto. In questo stato di decadenza si potrebbe commettere l’errore di credere che non vi sia cosa peggiore di una Università povera (nel senso di scarse disponibilità economiche). Ma poiché il peggio non ha mai fine, si può affermare che una povera Università (nel senso di scarse disponibilità di conoscenza, bassa qualità della didattica, poca capacità di trasferimento del sapere, scarsa innovazione e ricerca, assenza di senso critico) è una sciagura peggiore di una Università povera (ma dignitosa). Quella italiana è un’accademia che continua a registrare casi di nepotismo e baronie, già biasimevoli in passato ma più odiose oggi, in un momento di crisi e scarse risorse. Questa Università oggi deve necessariamente pensare nuovi modi di operare e nuovi paradigmi culturali. Nel fare ciò deve aprirsi ai contributi dei suoi protagonisti “pensanti” qualunque ruolo essi abbiano nella comunità universitaria. In questa prospettiva le modalità scelte per festeggiare il primi quarant’anni dell’Unical hanno mostrato un loro limite di orizzonte. Il problema ovviamente non riguarda soltanto gli organi di governo dell’università, ma anche la sua comunità che in certi casi si comporta più da consumatore di eventi mediatici che da interprete critico della realtà. Lo dimostra il fatto che soltanto poche decine di persone erano presenti alla cerimonia della laurea honoris causa di Saverio Strati, il maggiore degli scrittori calabresi viventi opportunamente citato anche da Benigni. Stessa cosa è avvenuta per il dibattito sul rapporto tra società civile e ‘ndrangheta con il procuratore Pignatone. Viene spontaneo chiedersi quanti avrebbero corso a prenotarsi o polemizzato per assistere ad una cerimonia per una laurea honoris causa data ad un grande filosofo come Antonio Damasio o ad uno scrittore di prestigio come John Coetzee. Per sua stessa intrinseca natura, ogni università deve sapersi confrontare con l’intera comunità mondiale della ricerca e della formazione accademica e certamente l’Unical ha delle aree di eccellenza (ormai riconosciute da organismi e comunità nazionali e internazionali) che non hanno difficoltà nel misurarsi con dignità e merito con i migliori centri universitari e di ricerca nel mondo. Per altre aree invece è necessario interrogarsi su come migliorare la credibilità e i risultati senza accontentarsi di essere un’università di secondo piano o, peggio ancora, provinciale. In quarant’anni tantissimo lavoro è stato fatto per portare l’Unical ad aver il ruolo che ha oggi. Adesso bisogna ragionare sulle azioni migliori da mettere in campo per mantenere e migliorare il suo ruolo nella comunità scientifica nei prossimi decenni. Insieme al suo ruolo scientifico, l’Università “della Calabria” deve mantenere l’impegno di proseguire ad operare per far avanzare il territorio calabrese in cui è nata e verso il quale ha l’obbligo di agire come strumento di cambiamento e di sviluppo sociale ed economico. In questo compito l’Unical non può ignorare che il contesto in cui è immersa è uno dei più difficili nell’intera Unione Europea. L’Università non può credere di essere un’isola felice circondata da un ambiente pieno di problemi e avvezzo a pratiche poco civili. La teoria dell’isola felice in un mondo sempre più connesso può convincere solo gli sciocchi. Un organo sano non si salverà facilmente se vive in un corpo malato. Deve trovare gli anticorpi per resistere, per evitare il contagio, ma soprattutto deve agire per sanare e curare quel corpo in cui si trova, altrimenti soccomberà insieme ad esso. In questo senso l’Unical certamente non ha sempre fatto tutto il necessario per evitare la contaminazione da cattive pratiche, per mostrarsi impermeabile alle infiltrazioni nocive che talvolta provengono dal “territorio” e che danneggiano non tanto la sua immagine ma il suo senso più profondo e il suo ruolo. Eppure per evitare prassi maligne è sufficiente osservare il passato e pensare, ad esempio, alle scelte e all’azione del prof. Beniamino Andreatta nella fase di fondazione dell’Università per comprendere quale è la strada giusta da seguire per tenersi lontani da camarille e da potentati che prosperano sulle disgrazie della Calabria. Di questo e di altro si dovrebbe discutere nell’Unical approfittando dei quarant’anni della nostra Università, senza farsi abbagliare dalle luci delle telecamere delle televisioni o dagli articoli dei cronisti attratti per un giorno dalla presenza di un divo del cinema, anche se di valore come Roberto Benigni. L’Università e la sua comunità, pur nella difficoltà quotidiane della ricerca, della tanta didattica e dai mille problemi di ogni giorno di chi si occupa della sua gestione e del suo governo, se vuole realmente festeggiare i risultati di quarant’anni di lavoro fatto da tutti quelli che si sono dedicati con impegno, deve ragionare collettivamente e in maniera aperta sulla sua futura missione. Pensare alle scelte strategiche da fare, al modo di realizzarle per rispettare lo spirito di chi l’ha pensata e realizzata e per evitare il rischio di provincializzazione delle sue attività culturali, del suo corpo docente, il rischio di relazioni con la parte più opaca del territorio in cui vive. Se c’è la reale volontà di farlo si troveranno i modi e i luoghi per farlo. Se, al contrario, i protagonisti della vita dell’Unical non lo faranno sarà una occasione persa per l’Università e per il suo futuro. Il rischio è che i suoi secondi quarant’anni si decideranno fuori dalle sue aule.

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