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di OTTAVIO ROSSANI
La ripresa economica dell’Italia, la famosa “crescita”, sembra sia legata alle liberalizzazioni. Insomma, ancora una volta prevale il liberismo sfrenato. La parola magica infatti significa liberare ogni attività da qualsiasi tipo di vincoli: burocratici, categoriali, corporativi. E questo va bene. Ma se non si aggiungono nuove regole ordinatrici ed eque, forse sarà maggiore il danno. Il presidente del Consiglio Mario Monti, del resto, è esperto della concorrenza, incarico che ha svolto con successo nella Commissione europea per due mandati. Perché ci sia concorrenza ci devono essere più aziende o società nello stesso settore di attività. Ed è questo che si vuole e si deve realizzare ora in Italia, in modo che dalla concorrenza ci sia un dinamismo commerciale e produttivo tale da creare sviluppo e posti di lavoro. Si pensa di liberalizzare quasi tutti i settori produttivi. Ma a me sembra che da una parte c’è l’illusione che basta liberalizzare le professioni e i mestieri per risolvere il problema della crescita e dall’altra mi sembra che ci sia una certa confusione su ciò che conviene o no liberalizzare. Se per liberalizzare si intende mettere all’asta le spiagge come ho letto di recente, allora proprio non ci siamo. Non era stata un’idea ventilata a suo tempo da Tremonti e subito contestata da tutti? Perché dovrebbe andare bene adesso? Le spiagge sono un bene pubblico, che attengono all’immagine ambientale del paese. Perciò esse devono restare pubbliche, ed evitare speculazioni edilizie o di altro genere rovinando completamente il patrimonio costiero italiano, già in parte degradato da costruzioni abusive e insediamenti illegali che meriterebbero l’abbattimento. Ma mi trovo a parlare delle spiagge solo perché la proposta di metterle all’asta, senza alcuna altra specificazione, mi è sembrata la solita superficialità italiana di ministri poco competenti e molto approssimativi. In realtà mi interessa tutto ciò che si intende liberalizzare (bene). Per prima cosa dirò che non tutto ciò che si fa all’estero è bene, e non tutto ciò che si fa in Italia è sbagliato. In Italia abbiamo le professioni liberali “regolamentate” con gli Ordini. Bene, non mi sembra che siano gli Ordini a bloccare l’economia. Se mai sono le incrostazioni burocratiche. Non è l’esame di stato per l’abilitazione a fermare lo sviluppo, ma è la sua degenerazione: raccomandazioni, imbrogli, procedure lunghe e complicate. Se per liberalizzare si intende snellire tutte le procedure e facilitare il processo d’ingresso nelle professioni, sono d’accordo. Il tirocinio per avvocati, commercialisti, ingegneri, architetti e quant’altri, invece di essere fatto negli studi professionali esistenti con il criterio dello sfruttamento per due o tre anni, se venisse previsto negli ultimi anni di università, gli anni della laurea specialistica, sarebbe una buona soluzione. I giovani risparmierebbero soldi e tempo.
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Le domande vitali sono queste: liberalizzare vuol dire togliere le regole di una professione, di un mestiere, di un’attività commerciale? Gli edicolanti si preparano a uno sciopero. Da tempo ormai i giornali si vendono nei bar e nei centri commerciali. Si possono ampliare i luoghi di vendita, ma attenzione: il rischio è che alla fine, poiché vendere i giornali non è più redditizio, alla fine nessuno vorrà più venderli. So di centinaia di edicole che si stanno trasformando in cartolerie e in negozi di gadget. Secondo me, prima di decidere sulle edicole, bisognerebbe prendere visione dell’oligopolio della distriubuzione dei giornali in Italia, strozzano sia gli editori sia gli edicolanti.
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Sia ben chiaro che sono per le regole. La democrazia in fondo è caratterizzata dalle libertà singole e collettive, ma libertà che non ledano quelle degli altri. E perché ciò non accada sono necessarie regole valide per tutti. Prendiamo i tassisti. È giusto liberalizzare il settore, ma prima si approfondiscano le effettive necessità di sviluppo di questa attività. Oggi i tassisti sono una corporazione, ma attenti a non farli diventare dei pezzenti che si fanno la guerra per un cliente. Posso testimoniare che nelle grandi metropoli (New York, Tokio, Buenos Aires, Città del Messico, eccetera) i tassisti sono molto numerosi. Basta alzare una mano in strada e un tassì si ferma subito, perché in genere le auto girano continuamente per la città. Nelle nostre città, Milano e Roma in primis, per avere un tassì lo devi prenotare, oppure aspettarlo nei parcheggi destinati e magari stai lì per mezz’ora, peggio che per gli autobus e altri mezzi pubblici. E allora? Se a Milano ci sono cinquemila licenze operative, le si porti a diecimila e, se necessario, anche a quindicimila. Così a Roma. Ma a quali condizioni? Che il numero delle licenze risponda seriamente alle esigenze della città e che si stabilisca il prezzo del chilometraggio e si elimini il plafond fisso di partenza. A Buenos Aires dopo il default i tassisti da circa diecimila sono diventati quarantamila e tutti riuscivano a vivere se avevano voglia di lavorare. Insomma, quello che conta è che comunque ci devono essere delle regole razionali e giuste.
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La prima cosa che deve fare il Governo è consultare le categorie interessate. Si tratta di ascoltare le situazioni reali, smascherando coloro che raccontano sciocchezze. Ma ascoltare significa “sentire” il polso, saper riconoscere la realtà. E se non si è in grado, commissionare una ricerca di mercato che monitorizzi la realtà. Così per le ferrovie, per le imprese, per i trasporti locali, per le poste. Non basta privatizzare le imprese pubbliche. Questo sarebbe vendere o svendere. Ricordo che alcune imprese dell’Iri sono state alla fine regalate (Alfa Romeo, Sme, eccetera). Liberalizzare significa introdurre delle regole eque, logiche, funzionali. Ed eliminare le incrostazioni ottocentesche, evitare i doppioni, sburocratizzare le procedure. E non regalare nulla. Presidente Monti, su questo sia rigoroso e prima di dare l’ok a un suo ministro, verifichi di persona che il metodo di rigore ed equità sia stato rispettato. *** Dopo la manovra massiccia che ha reintegrato l’Italia nella considerazione europea e internazionale, ci si aspettava un intervento del Governo almeno nella “fase due” con una tassazione dei grandi patrimoni (si parlava dai tre milioni di euro in su con una percentuale dello 0,5 e meglio ancora dell’1). Non ne sentiamo più parlare. Ci viene testimoniato che il PdL ha posto la questione: o lasci perdere la patrimoniale o comunque non la votiamo e ti facciamo cadere. Quindi abbiamo un Governo “tecnico” sotto condizione. Eppure è apprezzato in Europa e nel mondo. I partiti non dovrebbero porre veti, ora, ma collaborare con intelligenza alla salvezza dell’Italia. Purtroppo Berlusconi ancora questa sensibilità non ce l’ha. Non l’ha mai avuta. Speriamo che l’incontro di oggi tra Monti e i leader dei tre gruppi (PdL, Pd, Terzo Polo) che fanno la supermaggioranza in Parlamento sortisca una diversa e migliore consapevolezza.
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