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POTENZA – E’ un lungo elenco di carenze che racconta il dramma degli istituti penitenziari anche in Basilicata il resoconto della Uil provinciale di Potenza relativo all’anno 2011. La regione è tra le ultime nel recepimento della normativa relativa al trasferimento della medicina penitenziaria al sistema sanitario nazionale con il decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 1 aprile 2008. Dopo tre anni l’iter burocratico non è stato ancora concluso, le infermerie presso le carceri sono abbandonate a se stesse, e l’osservatorio permanente sulla sanità penitenziaria dopo l’istituzione, non era mai stato più convocato fino al mese di novembre scorso. La nostra Regione doveva essere capofila (nel concludere l’iter burocratico) presentando i dovuti progetti, mediante il quale costruire un sistema definitivo di presa in carico regionale dell’assistenza sanitaria in carcere, la costituzione di un gruppo di coordinamento regionale interistituzionale per la salute, visto la presenza sul territorio di pochi strutture penitenziarie, a differenza delle altre regioni che presentano un sistema carcerario più complesso con maggiori Istituti e un alto indice di popolazione detenuta. Nonostante tutto, le realtà più grandi (come la Toscana – Emilia Romagna – Piemonte – ecc) sono letteralmente più avanti della Basilicata, anche il Molise, quest’ultima che si avvicina molto alla Basilicata per territorio e strutture carcerarie presenti, ma ha una marcia in più. «È la dimostrazione – secondo la Uil – della poca attenzione e sensibilità locale, dimostrata da chi esercita responsabilità amministrative e politiche verso un settore di estrema importanza, verso persone che seppur soggetti a limitazione della libertà personale, hanno il diritto di essere assistite. Negli uffici sanitari presso le strutture carcerarie, nulla è cambiato». La medicina penitenziaria è ancora priva di una precisa pianta organica. La Uil segnala pure che «nonostante tutti gli sforzi sindacali ancora oggi persiste una situazione conflittuale nell’apertura di un reparto “protetto” per i detenuti, presso il nuovo Ospedale Madonna delle Grazie di Matera, anche se la spesa dove essere sostenuta dalla regione». Il sindacato chiede un modello organizzativo per la Medicina Penitenziaria, da inserire nel piano sanitario regionale, con l’istituzione di una struttura operativa regionale della medicina penitenziaria con funzioni di coordinamento e monitoraggio del sistema carcerario, con le aziende sanitarie locale da garante ai servizi. L’auspico è che «con i nuovi direttori sanitari generali, si prenda cognizione subito della realtà carceraria e che nel più breve tempo possibile le parole dell’assessore regionale diventano realtà». Sulla medicina penitenziaria, «anche l’amministrazione penitenziaria regionale non può sottrarsi alle proprie responsabilità, totalmente assente». «Abbiamo avuto l’ennesima conferma dell’assenza e insensibilità dell’A.P., con la mancata presentazione al convegno del provveditore regionale che aveva dato la propria disponibilità; si è sottratto al dialogo e confronto senza dare nemmeno un preavviso». In regione sono presenti quasi 500 detenuti su una capienza regolamentare (disponibile) di 349 posti, con un indice di sovraffollamento pari al 38,7%, di fronte a una carenza di personale di 40 unità in base al decreto del 2001 che stabilisce le piante organiche. «Un decreto oggi non attendibile, poiché non rispecchia più la realtà degli istituti». Potenza e Melfi continuano ad essere le situazioni più complesse e pericolose. Gli Istituti lucani rispecchiano quello che è il dramma carcerario. Per Potenza va aggiunto che si tratta di una struttura del ’58 fatiscente e pericolante, che perde pezzi giorno dopo giorno, carente di spazi, con il personale costretto a lavorare in ambienti insalubri privi di igiene, qui. L’edilizia penitenziaria regionale è da anni bloccata, nel recente piano carceri, il Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria non ha minimamente inteso investire anche in questa regione, neanche in manutenzione straordinaria. «Più che nuove carceri, c’è bisogno di un carcere nuovo, un modello diverso di gestire il sistema. Prima che vengano costruiti i nuovi istituti si corre il rischio che le vecchie ci crollano addosso. Ci sono problemi strutturali che potrebbero mettere a rischio l’incolumità dei detenuti e del personale». «Il Governo deve intervenire sul mondo carcerario con il sostegno di tutta la classe politica che appare ancora molto lontano da problemi non più rinviabili».

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