3 minuti per la lettura
POTENZA – Dato che nessuno meglio di un uomo sa cosa riesce a solleticare il desiderio di un altro uomo, era lui a scrivere i messaggi che la sua complice mandava alle vittime del loro «programma». Dopodiché, una volta arrivate al punto giusto di cottura, scattava il trappolone da servizi vecchi stile, rivisto e adeguato all’era delle microspie e dei cellulari. Lei prendeva un registratore e lo lasciava nella borsetta. Le parole infuocate, quei discorsi di passione finivano impressi su un supporto digitale. Poi se le cose si mettevano per il verso giusto ci scattava pure la foto e il gioco era bello che fatto: da allora in poi quell’uomo non avrebbe più potuto dirgli di no.
Tra le accuse contro l’007 Nicola Cervone c’è anche il “dossieraggio” sessuale di due noti personaggi della provincia di Potenza. E’ il capitolo più scabroso dell’inchiesta “Toghe bis”, ma forse l’unico che rende per intero che cos’era il metodo Cervone. Gli investigatori che tenevano sotto controllo i suoi telefoni hanno ascoltato decine di conversazioni con la sua complice, una donna che a tratti appare soggiogata dalla sua personalità, in cui venivano discussi tempi e modalità di quegli incontri a luci rosse. Nel mirino erano finiti il direttore di una banca e uno stimato professionista candidato alle scorse elezioni regionali. Quale fosse lo scopo per cui servivano strumenti di ricatto nei confronti di entrambi gli inquirenti non sono stati in grado di chiarirlo, sebbene li abbiano interrogati per sapere dalla loro voce se era mai capitato di ricevere richieste inusuali da parte di Cervone, o se durante quegli incontri si ricordavano di essere stati sollecitati a parlare di questioni e soggetti particolari, come il pm già al centro dell’esposto a firma “Sicofante” che aveva dato il “la” all’inchiesta, Henry John Woodcock. E’ probabile quindi che Cervone cercasse solo di precostituirsi degli strumenti per manovrarli al momento giusto, come pedine di un gioco che gli sarebbe tornato utile in momento successivo. In fondo entrambi avevano tutte le caratteristiche servire ai suoi scopi, che gli inquirenti hanno riassunto nell’ambizione di tornare nei servizi segreti, ma per anni si sarebbero tradotti nella raccolta di informazioni sensibili per «condizionare» magistrati ed esponenti politici locali.
Com’è noto i database bancari rappresentano una miniera di notizie riservate. Più inquietante invece il ruolo che Cervone potrebbe aver pensato per quel candidato alle scorse regionali, soprattutto se fosse stato eletto. Una volta in Consiglio è facile pensare che l’ex 007 avrebbe potuto orientare le sue decisioni sulle questioni di interesse pubblico di volta in volta discusse.
In fondo quella di Nikeo Cervone, attraverso la lente degli inquirenti di Catanzaro, finisce per assomigliare a una vera e propria rete di personaggi che erano disposti ad abusare delle proprie funzioni in cambio dei suoi favori. Una rete che aveva la sua piccola base nell’ufficio di Cervone nella cancelleria del Tribunale di Melfi. Da lì, dov’era stato assunto proprio in seguito al suo allontanamento dai servizi segreti, Nikeo sarebbe stato in grado di fornire informazioni riservate sui procedimenti in corso come nel caso della dottoressa Loredana Merletto, un consulente per le cause d’invalidità arrestato l’anno scorso per corruzione. In cambio di dritte sulla sua situazione non avrebbe badato a firmare qualche certificato di troppo. E il suo non sarebbe stato l’unico caso.
Leo Amato
https://www.facebook.com/pages/Il-Quotidiano-della-Basilicata/1441588122861160099ff]4|14]Visita la nostra pagina Facebook
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA