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«Ho soltanto chiarito la mia posizione rispetto alle vicende contestate evidenziando, così come è scritto dagli stessi ispettori ministeriali, il distinguo tra le competenze, che sono gestionali in capo ai dirigenti, e quelle in capo alla politica». E’ durato poco meno di due ore, l’interrogatorio al governatore Giuseppe Scopelliti. Il tempo di rispondere ad alcune domande della Procura, rispetto all’accusa di falso, nell’ambito dell’inchiesta sul “caso Fallara”.
Il presidente della Regione Calabria, a conclusione del confronto con i magistrati reggini, ha riferito: «In qualità di sindaco ho dimostrato in maniera chiara la mia estraneità alla vicenda. Sono molto sereno, tranquillissimo. Saranno poi i procuratori che dovranno valutare insieme ai sostituti la mia posizione che a me sembra molto lineare e naturale».
Scopelliti ha ribadito la sua linea di difesa a fronte delle accuse che gli sono state mosse dal pool di magistrati che indagano sugli illeciti che starebbero alla base del buco di Bilancio di Palazzo San Giorgio. Un tesi che, nella sostanza, tende a distinguere quelle che sono le responsabilità dei dirigenti da quelle di chi riveste un ruolo politico nella stessa amministrazione. Delle domande rivolte al governatore nello specifico si sa poco o niente, anche alla luce del fatto che la Procura non ha voluto commentare in alcun modo i contenuti e l’esito dell’interrogatorio a cui era presente anche il procuratore Giuseppe Pignatone.
A suo carico si ipotizza a suo carico il reato di falso in atto pubblico.
L’inchiesta era stata avviata in seguito alle denunce di Demetrio Naccari e Seby Romeo, esponenti del Pd reggino, sulle indebite competenze erogate alla dirigente dell’Ufficio finanze del Comune, Orsola Fallara, al centro della bufera, che avrebbe compiuto operazioni illecite sia sul piano contabile che penale. La perizia in mano alla Procura parla di entrate del Bilancio gonfiate ad arte per consentire tutta una serie di spese. Iniziative, consulenze, incarichi professionali venivano così finanziati. E quando poi i soldi non bastavano più iniziava una sorta di partite di giro, con fondi che passavano da un capitolo di Bilancio all’altro. La coperta però, al di là delle responsabilità penalmente rilevanti, ad un certo punto iniziò a diventare corta. Ed i debiti dell’amministrazione pubblica, verso enti e privati, arrivarono alle stesse. Gli ispettori del ministero dell’Economia hanno stimato «in via prudenziale», qualcosa come 170 milioni di euro di buco.
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