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La Calabria schiacciata tra due placche enormi, quella europea e quella africana, che si avvicinano una verso l’altra alla velocità di sette millimetri l’anno generando gigantesche fratture nel sottosuolo, conosciute come faglie, che rilasciando energia provocano terremoti. Questo starebbe avvenendo in provincia di Cosenza, da settembre ad oggi, dove sono state registrate 521 scosse di bassa ma anche media entità.
Il fenomeno è studiato dal geologo del Cnr Carlo Tansi, responsabile scientifico del progetto Amamir (Azioni di monitoraggio avanzato per la mitigazione del rischio idrogeologico) nato nell’ambito di una convenzione tra il Cnr-Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica ed il ministero dell’Ambiente e che interessa la faglia «San Fili – San Marco Argentano».
La Calabria, secondo Tansi, è attraversata da un sistema di faglie in piena attività che si sviluppa dalla valle del Crati, passa per lo Stretto di Messina e termina nella Sicilia orientale. Una di queste faglie, responsabili della quasi totalità dei terremoti che hanno colpito la Calabria in epoca storica, si estende, appunto, per circa 30 chilometri tra San Fili e San Marco Argentano e toccando o lambendo anche Rende, San Vincenzo La Costa, Montalto Uffugo, Lattarico, San Benedetto Ullano, Rota Greca, San Martino di Finita, Cavallerizzo di Cerzeto, Cervicati e Mongrassano.
La faglia, che si sviluppa ad una profondità di una decina di chilometri, ha originato numerosi terremoti: quello del 1184 che ha raso al suolo molti abitati della media valle del Crati; il sisma del 20 febbraio 1980 che ha portato in strada molti cosentini; il sisma del 20 dicembre 1987, sempre a Cosenza; e lo sciame sismico che da mesi interessa l’area del Pollino.
Ma la faglia «San Fili – San Marco Argentano», rileva Tansi, non provoca solo terremoti ma anche lo sbriciolamento delle rocce dovuta alla pressione delle placche determina una «fascia cataclastica» che tende a richiamare l’acqua circostante come una gigantesca spugna. Nello specifico, trovando la «diga» costituita dai terreni argillosi della calle del Crati, sfoga la sua pressione riversando enormi quantitativi d’acqua in superficie. Tutto ciò, spiega Tansi nella sua analisi, provoca l’innalzamento della falda acquifera sotterranea predisponendo i terreni alle frane.
È stato questo fenomeno, evidenzia il geologo, a determinare la frana di Cavallerizzo che il 7 marzo 2005 ha distrutto gran parte dell’abitato, o quelle che hanno distrutto l’abitato di Palazzello di Lattarico (gennaio 2009) e parte dell’abitato di San Benedetto Ullano (febbraio 2010).
Il progetto Cnr-Amamir, dunque, si propone di monitorare questo contesto geologico ad alto rischio, differenziandosi dai sistemi di controllo classici, per la continuità. Ciò significa che, istante per istante, sono tenuti sotto controllo tutti i parametri che possono influenzare le frane. Una sofisticata strumentazione consente di tenere sotto stretto controllo non solo gli spostamenti sub-centimetrici legati alle frane ma anche l’attività tettonica della stessa faglia. Inoltre è monitorato continuamente l’andamento della falda d’acqua sotterranea e le piogge, nonchè la torbidità delle acque di sorgente che scaturiscono dalle frane.

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