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di ENZO CICONTE
I fari della grande informazione nazionale, com’era prevedibile, si sono spenti sulla Calabria e forse questo ritorno in un cono d’ombra può essere l’occasione per riflettere a freddo su quanto sta accadendo e potrà accadere nel prossimo futuro partendo da una domanda: cosa è diventata negli ultimi anni la ’ndrangheta? Dove è mutata e come ci appare oggi? La ’ndrangheta è in continuo mutamento, cambia, si trasforma pur mantenendo intatti e vitali i tratti di fondo della sua antica tradizione. Ma attenti a non scambiare per novità affermazioni o circostanze che nuove non sono. Alcuni hanno sottolineato con enfasi l’affermazione fatta dal procuratore di Milano Ilda Boccassini sulla trasversalità della ’ndrangheta. Chi ha anche solo un’infarinatura della storia della ’ndrangheta sa che la mafia calabrese è stata trasversale sin dagli albori dell’Italia repubblicana quando una parte di essa, votata al potere, votava per la Dc e un’altra parte, legata al ribellismo popolare, votava per il Pci e un’altra ancora era affascinata dall’eversione fascista come dimostrano, per fare solo pochi esempi, la vicenda di Franco Freda, custodito dai De Stefano durante la sua latitanza, e la volontà di correre l’avventura del golpe Borghese. Poi arrivano i mutamenti nel rapporto con la politica quando gli ’ndranghetisti – siamo oramai all’inizio degli anni ottanta – candidano, come ci dicono le indagini del tempo, degli affiliati perché comprendono che era meglio avere propri rappresentanti dentro le istituzioni invece di mediare di volta in volta con gli inaffidabili politici. Le intercettazioni di casa Pelle dell’anno scorso ci consegnano un’altra novità: gli uomini politici vanno a casa del capobastone a chiedere i voti ed è il capobastone che sembra avere un’idea strategica, ovviamente per la sua organizzazione, e non i candidati che chiedono i voti ognuno per se stesso. E quelle provenienti oggi da Milano ne svelano un’altra ancora: la tela tessuta da Lampada in varie città italiane e i rapporti tenuti con esponenti di alcuni partiti del centrodestra per un progetto politico di vasto raggio che – ecco la vera novità! – non è più localizzato solo in un singolo territorio. Su questo giornale Francesco Forgione ha elencato i fatti che riguardano la politica, i consigli comunali sciolti, gli uomini politici indagati e quelli arrestati. La politica in Calabria è ammalata, non c’è dubbio; seriamente, non in forma passeggera e coinvolge – seppure in maniera a volte radicalmente diversa – tutti gli schieramenti. Se da una parte c’è un profondo coinvolgimento, dall’altra parte manca una voce – almeno una! – per parlare con autorevolezza e rigore. L’altra novità degli ultimi anni è l’emergere in primo piano della cosiddetta zona grigia, circostanza che ha determinato non poche reazioni. Intendiamoci: i problemi sono nati non perché s’è parlato di zona grigia – tutti, a parole, solo concordi sulla sua esistenza – ma perché la zona grigia si è materializzata in volti, in determinati nomi e cognomi, in arresti. Sono quei volti, quelle persone, quei nomi e cognomi a scatenare le reazioni più furibonde anche perché dall’arresto di Giovanni Zumbo in poi è venuto materializzandosi uno scenario in cui cominciano a prendere forma – e volto! – pezzi di servizi segreti, massoneria e ’ndrangheta. Non sono gli scassapagghiara o i narcotrafficanti a finire dietro le sbarre – e a far dire a qualche magistrato di grido che la ’ndrangheta è invincibile –, ma anche molti che si sentivano o erano ritenuti intoccabili. Infine, è stato sfregiato dalle indagini reggine più recenti quello che, con enfasi e con una massiccia dose di propaganda, era stato definito modello Reggio. È una rasoiata in volto che difficilmente può passare inosservata e che ancora più difficilmente potrà rimanere senza conseguenze politiche. L’abbaglio per quel modello ha portato anche il sindaco di Roma a scendere in Calabria per sostenere una candidatura di un consigliere regionale finito in carcere. Alemanno e Scopelliti sono così accomunati non solo dalla stessa provenienza politica, ma anche dalle cattive frequentazioni. L’ultima novità è stato il pesante coinvolgimento d’un magistrato reggino, fatto particolarmente grave anche perché era uomo che si mostrava impegnato nel fronte antimafia, a conferma del fatto che l’antimafia deve bonificare se stessa e non rilasciare a tutti – magistrati o no – patenti improprie. Se in futuro verranno confermate le accuse – vale per lui come per tutti la presunzione d’innocenza – vuol dire che s’è aggiunto un altro tassello molto delicato. Nessuno, però, pensi di giudicare l’intera magistratura reggina da episodi come questi perché dentro di essa ci sono ben altri esempi. Come del resto ci sono molte cose nella storia della magistratura calabrese; alle luci s’accompagnano zone d’ombra e d’inquinamento che vanno individuate e rimosse. È doloroso, lo so, ma va fatto. Mi aveva colpito l’anno scorso, leggendo la richiesta dei pm reggini denominata Crimine, l’omaggio reso da Giuseppe Pignatone alle indagini dei suoi predecessori – a cominciare dall’indagine Olimpia che ha rappresentato all’epoca un momento assai significativo –, ma mi aveva colpito la circostanza che mai era stato possibile raggiungere la prova dell’esistenza, sotto varie forme o denominazioni, di un coordinamento delle ’ndrine. Nessun tribunale calabrese ha mai fornito la prova giudiziaria dell’esistenza di un organismo di vertice dei locali della ’ndrangheta. Dentro la storia della magistratura c’è anche questo non piccolo tassello. Eppure, lo sappiamo, anche il rapporto tra le ’ndrine non è più quello di prima. Le ragioni del mutamento sono tante, a cominciare dall’espansione nazionale e internazionale degli affari economici. Si può fare quello che sta facendo la ’ndrangheta se non c’è un centro di coordinamento e di guida? Proprio per questo è diventato più complesso combattere la ’ndrangheta che bisogna colpire in Calabria – dove continua a rimanere il cervello e la fonte di legittimazione – e al di fuori della Calabria dove oramai s’è clonata e ha moltissimi degli interessi materiali. Ma non c’è un prima e un dopo in questa lotta.
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