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di VITO BUBBICO

COME in ogni favola che si rispetti, c’è un epilogo in cui qualcuno è sempre destinato a vivere “felice e contento”. La favola è quella “dell’equità”, raccontata nelle settimane scorse agli italiani quale elemento distintivo e pregiudiziale ad un generale afflato nazionale necessario a sostenere il peso di quei sacrifici che oramai sono l’unica certezza del nostro passato, presente e futuro. Nessuno si faccia illusioni, il vampiro è solo momentaneamente pago dell’ulteriore nostro sangue sacrificale offerto sull’altare dei suoi templi: le borse. E lì si è, infatti, festeggiato. Perché più le nostre finanze individuali vanno giù, più quelle degli speculatori vanno su. Certo anche il famigerato “spread” è andato giù ma quello – statene sicuri – è un fatto momentaneo mentre il nostro andare giù è, ahinoi, un fatto strutturale. Insieme agli speculatori hanno festeggiato quei pochi fortunati che detengono in mano la stragrande maggioranza della ricchezza, i tantissimi evasori, i furbi di sempre. C’è sempre chi vince e chi perde. E ancora una volta vincono i più forti. E’ d’altronde cosa c’è da aspettarsi dalla legge della giungla che oggi governa il mondo? Con l’assenza di regole che hanno consegnato gli Stati sovrani e le loro popolazioni con mani e piedi strettamente legati nelle grinfie delle banche d’affari. Come meri oggetti su cui “giocare” al rialzo e al ribasso. Chi buttiamo oggi giù dalla torre? E finché non si farà rientrare in ambiti fisiologici questo mondo di spregiudicato affarismo non ci sarà pace per nessuno Stato. E’ lì la radice del problema. Non ci sarà manovra che possa bastare se non si interverrà lì a livello internazionale o quantomeno europeo. Ci vorrebbero un centinaio di manovre come questa per colmare il nostro debito pubblico che è enorme. Ma esso non è che c’è da oggi. C’è da decenni e mai eravamo precipitati in questo cataclisma. Mentre scriviamo, sbirciando il contatore del sito dell’Istituto Leoni (https://brunoleoni.it/debito.htm), vediamo che ammonta ad oltre 1 milione 894 mila miliardi di euro (oltre il 119% del PiL). Ma è dal dall’inizio degli anni ’80 che la situazione della finanza pubblica italiana presenta uno squilibrio strutturale e l’entità del debito pubblico è progressivamente aumentata nel tempo. Dai 224 mila miliardi nel 1980 sino a 1 milione e 813 mila miliardi nel 1993 e dal 58% del PiL nel 1980 sino al 117,4% del 1993. Stimolato non solo dalla crescita della spesa, ma anche dalla progressiva emissione di titoli del debito, dall’esplosione dei tassi di interesse e dal finanziamento del debito stesso attraverso la crescita della base monetaria. Insomma eravamo al tempo degli yuppies. L’epoca in cui a livello mondiale si sono allentate le briglia alla finanza d’assalto che ha finito per sostituire l’economia reale con la sua di carta. Abbiamo un debito certamente grande ma, pensate, che è molto più grande quello della stessa Germania (che ora ci impone di fatto questi salassi). Nel 2010 ci ha sorpassato (aumentandolo di ben 319 miliardi di euro) e portandolo a 2.080 miliardi.dati oggettivi che suggerirebbero di concentrarsi sul come rendere questo peso sostenibile al sistema Paese nel lungo termine entro il quale si può pensare realisticamente ad una sua riduzione significativa. Come è altrettanto evidente che è all’equità e allo sviluppo che dovrebbero mirare le politiche che si mettono in atto. Equità e sviluppo che sono, ad unanime giudizio degli analisti, le due Cenerentole del cosiddetto decreto “salva-Italia”. Esso, come è stato scritto anche ieri da queste colonne in un partecipato commento di Nino D’Agostino: “produrrà indubbiamente effetti recessivi notevoli”, anche in Basilicata. E sempre D’Agostino scriveva che: “Come sempre succede nei primi stadi di fuoruscita dalle crisi a pagarne maggiormente i sacrifici sono le aree più deboli: un conto è togliere dal reddito di operaio 300-400 euro all’anno ed un altro è sottrarne 1000 a chi dispone di milioni di euro di reddito e di patrimonio”. Ma è proprio questo che si fa. Ed è davvero inevitabile che debba andare sempre così? Non è certo scritto nelle stelle. Ma è il punto dolente delle misure adottate. Perché da qualsiasi parte le si voglia prendere esse tendono necessariamente al rosso nei confronti dei soliti noti. E’ un fatto. Ben altre aspettative erano state alimentate. Altro che scalone. Il colpo di maglio assestato sulle pensioni è micidiale per le conseguenze che comporta sulla carne viva di migliaia di lavoratori. Molti dei quali tra i cinquanta e i sessanta precipitati di colpo nel dramma di una prospettiva di senza lavoro e senza pensione forse anche per un decennio. Il cuore della manovra è tutta qui. In pensione si andrà più tardi e sarà più povera. Per i lavoratori di oggi. Ma di più lo sarà quelli di domani. Quei giovani che si dice si voler tutelare con questi provvedimenti. Con questi chiari di luna quando potranno maturare 42 anni di contributi? E sempre sulle spalle dei più deboli vengono aggiunti diversi ulteriori pesi: l’incremento dell’addizionale regionale Irpef, dei carburanti, dell’Iva e via aumentando. Oggi. Ma nelle prossime settimane sempre sugli stessi potrebbero abbattersi anche altri provvedimenti nefasti in tema di diritti. La promessa e la premessa era un’altra. Che si sarebbe dovuto cominciare dalle “aree più forti”, anziché da quelle “più deboli”. Era non solo doveroso ma ampiamente possibile. Bastava essere europei fino in fondo portando al 10% il prelievo sui capitali scudati, dare più protezione sociale a chi rimane senza lavoro (ed ora senza pensione), consentire l’accesso del fisco al sistema bancario (come succede ad esempio in Francia) quale condizione per una patrimoniale seria e quale deterrenza all’evasione. Non si è nemmeno pensato di dire stop a un regalo in fase di elargizione a Mediaset e Rai, ovvero le frequenze tv libere e da cui si potrebbe incassare dai 3,5 ai 4,5 miliardi di euro. Saranno assegnate gratis se il ministro Passera non farà subito un decreto per annullare quello del suo predecessore. Ci si pone ora una domanda: si potrà cambiare il provvedimento durante l’esame parlamentare? Noi ci auguriamo davvero di si. Prima che monti la disperazione di una protesta che i sindacati provano ad interpretare, sebbene con uno “sciopero separato”. Ma è forte il timore che non venga consentito. Se così fosse per il Pd l’aria si farebbe pesante. Troppo simile a quella che respirò il Pci dopo i provvedimenti del governo Andreotti di unità nazionale. Quella che dopo i successi delle elezioni del 1975 e 1976 lo trascinò verso il basso. Bersani deve evitare di rimanere con il cerino in mano. E se non sarà in grado di ottenere tangibili correzioni rischia di pagare il prezzo più alto. Rischia di interpretare un film già visto. Pur nel necessario senso di responsabilità, occorre saper far giungere chiaramente agli Italiani quali sono i provvedimenti che esso propone al governo Monti, magari insieme a tutto il centro sinistra (patrimoniale, lotta all’evasione, sviluppo, tagli alla politica). Così da far emergere la opposizione ad essa del centro destra. E dire anche con chiarezza e nettezza che dopo questa parentesi, ciò che non sarà stato possibile fare oggi lo si farà sicuramente domani in caso di vittoria elettorale. Far si che ciò sia chiaro agli italiani è il miglior modo per interpretare questo momento di responsabilità ma dando fiducia nel futuro. E non è poco in momenti che potrebbero precipitare pericolosamente nello sconforto più assoluto.

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