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di NINO D’AGOSTINO
SE qualcuno si aspettava misure definitivamente salvifiche con il primo decreto, giustamente chiamato “salva-Italia” , dal presidente del consiglio, Mario Monti, rimarrà profondamente deluso e dimostrerà di essere molto a digiuno circa le elementari norme che regolano la politica economica. Uscire dalla crisi si può e si deve, ma occorre tempo per una reale inversione di rotta rispetto al passato, durante il quale i grandi attori sociali (politica, impresa, sindacati) hanno “regalato” alle future generazioni circa 2 mila miliardi di euro di debito pubblico, scialacquando nella previdenza e assistenza, sanità, istruzione, incentivi alle imprese e quant’altro. Il decreto Monti è il primo di una serie molto articolata di provvedimenti che richiederanno ulteriori sacrifici. Non dimentichiamo che la grande crisi del ’29 venne superata con il dinamismo economico connesso alle attività di sostegno della seconda guerra mondiale e che il salvataggio dell’Italia fu pagato a caro prezzo con caduta verticale del Pil nazionale per molti anni. Il Premier ha cercato di imporre sacrifici, nell’ambito di riforme strutturali, a differenza del Governo precedente. Le misure sulle pensioni vanno in questa direzione, abolendo quelle di anzianità e ancorandole definitivamente al sistema contributivo, rimettendo, tra l’altro, in ordine, sia pure parzialmente, le aliquote previdenziali delle diverse categorie di lavoratori. L’intervento sulle province va letto come un primo provvedimento di una riforma istituzionale più complessiva. L’avvio della imposta municipale unica non è altro che un primo passo verso una imposizione fiscale sulle cose più che sulle persone, ripristinando per il momento sostanzialmente l’Ici appesantita dalla rivalutazione degli estimi catastali. Certo il quadro, su cui il Governo deve mettere mano è molto complesso: coniugare rigore, crescita ed equità equivale a fare la quadratura del cerchio, dato il momento attuale. Monti ha agito prevalentemente sulla leva fiscale, più che su quella della spesa pubblica: 18 miliardi lordi di nuovo prelievo fiscale, contro i 12 portati in diminuzione della spesa. Il decreto ha lasciato sullo sfondo i grandi temi che attengono al superamento del divario nord-sud, al mercato del lavoro, al welfare e dunque alla coesione sociale e territoriale, ritenendoli affrontabili in una seconda fase che richiede riflessioni e quindi tempi molto lunghi e circostanziati. Come sempre succede nei primi stadi di fuoruscita dalle crisi a pagarne maggiormente i sacrifici sono le aree più deboli: un conto è togliere dal reddito di operaio 300-400 euro all’anno ed un altro è sottrarne 1.000 a chi dispone di milioni di euro di reddito e di patrimonio. In Basilicata il decreto produrrà indubbiamente effetti recessivi notevoli. Tassare il patrimonio edilizio implica colpire in profondità la popolazione lucana, perché, riguardando anche la prima casa, metterà le mani nelle tasche di circa il 70% delle famiglie. Congelare l’adeguamento al costo della vita delle pensioni superiori ai mille euro mensili significa rosicchiare potere di acquisto dell’ordine del 2-3% , una misura che riguarderà larga parte della società regionale, in aggiunta a decisioni già prese circa il blocco degli stipendi nella Pa e così via. Maggiori tasse sul patrimonio edilizio e blocco delle pensioni, salari e stipendi comporteranno una ulteriore flessione dei consumi, già oggi falcidiati dalla perdita di popolazione e di posti di lavoro, registrata nel triennio 2008-2010. Sarà sempre più faticoso per molte famiglie arrivare a fine mese (cosa che investe finora circa il 40% della popolazione): ci dovremo attendere un allargamento di tale segmento sociale che andrà ad ingrossare l’area sociale di prossimità alla soglia di povertà che attiene a circa il 28% delle famiglie. E sarà molto più faticoso per i commercianti operare con il nuovo aumento dell’Iva. Gli inasprimenti fiscali sui beni di lusso (barche, aerei auto di grossa cilindrata) lasciano il tempo che trovano in Basilicata: qualche notabile potentino o materano che ormeggia la sua barca a Maratea non fa testo. Il decreto si muove peraltro sulla scorta delle ultime manovre varate nei mesi scorsi che, come è noto, avranno effetti che saranno dispiegati in tutta la loro pesantezza nei prossimi anni, nella prospettiva del pareggio di bilancio ( entro il 2013) che contrarrà i trasferimenti unilaterali dello Stato, mettendo in grave difficoltà le regioni ed il sistema delle autonomie locali. Ciò significa che a patire saranno non soltanto le famiglie, ma anche le istituzioni regionali e locali che, tuttavia, fornendo meno servizi o gli stessi servizi ma a prezzi maggiorati, daranno luogo ad ulteriori difficoltà per le prime che dovranno sostenere maggiori spese per usufruirne (vedi ticket per la sanità) Il pacchetto di misure per stimolare la produzione e creare occupazione mi sembra, al contrario, di grande interesse: ridurre l’Irap, favorendo la capitalizzazione delle imprese, rafforzare la disponibilità del fondo garanzia per l’accesso al credito delle piccole e medie imprese, sono senza dubbio strumenti strategici per affrontare due dei nodi più urgenti da sciogliere per potenziare la competitività delle imprese lucane, ossia il nanismo imprenditoriale e la stretta creditizia. Degna di nota è la defiscalizzazione della nuova occupazione che concerne i giovani e le donne e cioè i due segmenti del lavoro più penalizzati dalla crisi. Rilanciare il lavoro giovanile e quello femminile è essenziale per affrontare contemporaneamente la questione natalità e quella dell’esodo dei giovani e quindi il possibile declino demografico, frutto del combinato disposto dei due fattori suddetti. Sarà utile per il Governo regionale rendere compatibili tali misure con quelle che si accinge a varare direttamente per evitare duplicazioni, recuperando risorse per altri provvedimenti in favore di altri segmenti deboli, come i disoccupati over 50. L’insieme delle questioni poste in precedenza pone con urgenza la necessità che la Regione Basilicata si doti finalmente di un piano del lavoro, riconducendo ad unità i provvedimenti nazionali con quelli regionali. Prima lo si fa e più possibilità avremo di uscire dalla stagnazione economica ed occupazionale che ci sta strozzando.
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