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di DOMENICO TALIA
Qualche giorno fa è morto in Calabria un grande artista, un regista siculo-calabrese che tutti riconoscono come un grande poeta dell’immagine e della narrazione visiva. Eppure sembra che siano stati in pochi ad accorgersi di questa grande perdita, pochi soprattutto tra quelli che sono, o dovrebbero essere, la classe dirigente della Calabria. Il suo funerale è stato semplice, senza alte autorità. Senza le grandi folli che di solito accorrono quando il defunto è un boss della ‘ndrangheta oppure un politico chiacchierato ma potente o ancora un ladrone di fondi pubblici. Invece in questo caso si trattava semplicemente di un uomo che ha dedicato la sua vita e il suo talento alla cultura del Sud, ai grandi valori della vita, a un mondo che è ormai scomparso. Un regista conosciuto in tutto il mondo, ma poco noto nella nostra terra. Una terra in cui gli uomini affollano i matrimoni e i funerali dei boss e dei politicanti compari dei boss, ma non trovano il tempo di rendere onore agli uomini di cultura che non hanno vissuto di potere e di malaffare e quindi non meritano il “rispetto” dovuto ai potenti, meglio se malfattori. Stiamo ovviamente parlando di Vittorio De Seta. Una vita lunga 88 anni, di questi quasi 60 passati a fare il regista. De Seta era nato a Palermo nel 1923, è stato tra i più importanti autori di film documentari che il mondo abbia mai avuto. Tra le opere più note ci sono: «Un giorno in Barbagia» e «Banditi ad Orgosolo», affreschi realisti del mondo sardo, «Lu tempu di lu pisci spata», racconto della lotta tra vita e morte di pescatori e pesci tra la Sicilia e la Calabria, «Diario di un maestro», storie di vita nella periferia romana con attore protagonista Bruno Cirino, il fratello “buono” di Paolo Cirino Pomicino. Un premio per il miglior documentario al Festival di Cannes del 1955 per «Isola di fuoco», ambientato nelle isole Eolie, e un altro grande documentario intitolato “In Calabria” dedicato alla nostra regione. De Seta viveva a Sellia da tanti anni in maniera discreta e riservata. Come raccontano le cronache, se n’è andato allo stesso modo, senza clamori, in un giorno in cui i giornali sono stati costretti a raccontare l’ennesimo caso di un arresto di politici-magistrati-mafiosi-avvocati-tutori dell’ordine eccetera, in un grumo di malaffare da far tremare i polsi a tutta la società calabrese e italiana”. Di De Seta Goffredo Fofi ha scritto su Il Sole 24Ore: “alcuni dei suoi lavori sono in assoluto tra i massimi capolavori della storia del cinema, non solo italiano. . L’interesse della sua opera va oltre il cinema e si riallaccia idealmente a quella dei grandi meridionalisti del dopoguerra, di cui fu spesso amico, come Gaetano Salvemini e Carlo Levi, Manlio Rossi Doria e Rocco Scotellaro.” Tra i maggiori estimatori di De Seta ci sono certamente grandi registi come Pier paolo Pasolini e Martin Scorzese che ha commentato la scomparsa di De Seta con frasi come questa: “. Nel loro insieme, (le sue immaggini) sono una delle meraviglie del cinema. Vittorio De Seta fu veramente un grandioso, dinamico artista, e io piango la sua scomparsa.” Nel giorno della sua scomparsa, un grande figlio del Sud, è andato via avendo accanto soltanto i suoi parenti, i suoi paesani e pochi altri. Come accade spesso nei nostri paesi nei funerali di un contadino o di un artigiano, senza sfarzi, senza onorevoli e alte autorità. Nella regione in cui vale sempre di più ai massimi livelli il terribile motto che “Il compare del tuo compare è mio compare”, forse è del tutto naturale che un uomo della levatura di Vittorio de Seta se ne vada senza grancasse e picchetti d’onore. La Calabria ancora oggi è più attenta ai compari che ai poeti. In questo probabilmente sta il grande dramma di questa terra che troppo spesso si riconosce nei suoi figli peggiori e tante volte si inchina ad essi mentre ignora o dimentica i migliori che invece dovrebbero essere da esempio per poter avere un futuro con sempre meno compari e sempre più poeti.
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