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POTENZA – Una partita molto più importante, che al confronto quella da 16 milioni di euro è un’amichevole di lusso. Per quella decisione sì: è ancora in corso un giudizio davanti alla Corte d’appello di Roma. Come andrà a finire non si sa, ma se l’andazzo è quello di presentarsi dall’Eni per prelevare alla fonte, dai cespiti migliori del bilancio regionale quanto dovesse liquidare la sentenza, allora il rischio è che i cittadini della Val d’Agri – e non solo loro – per un anno si vedano dimezzati gli investimenti dei progetti di compensazione dell’impatto ecologico di trivelle e centro oli, l’università vada in sofferenza e la sanità debba rinunciare a qualcuno dei suoi gioielli.
Che è successo? La mitica Icla costruzioni spa non si accontenta. Anzi, per essere precisi, non si è accontentata. E tutto quello che è stato oggetto dell’arbitrato che si è concluso con la condanna la Regione Basilicata a pagare 16milioni e rotti euro – da cui il pignoramento di una somma equivalente dalle royalties che l’Eni le corrisponde – è soltanto residuale rispetto ad almeno tre questioni a monte: la risoluzione di quel contratto da 76miliardi delle vecchie lire «in danno della stazione appaltante», via Anzio; l’adeguamento dei prezzi considerato il tempo trascorso a causa delle varie sospensioni dei lavori che non sono addebitabili all’azienda; e infine gli interessi per i ritardi sui pagamenti, mano a mano che le opere prendevano forma. Un vero e proprio salasso.
Ha gioco facile la ditta che negli ultimi vent’anni è finita al centro di mille e una inchieste, verifiche, commissioni sulla gestione dei fondi post sisma – uscendone ogni volta sostanzialmente illibata – quando chiede conto davanti a un giudice del buono e del cattivo, se si pensa alle sviste dall’altra parte. Agli atti su cui i giudici dovranno stabilire quanto spetta a quegli imprenditori considerati a lungo molto vicini all’allora ministro Cirino Pomicino c’è persino una sollecitazione alla Regione per conoscere il nome del responsabile del procedimento, in sostanza a chi dovevano rivolgersi per sapere quando potevano tornare a lavorare. Era il 1996 ed erano passati ventisei mesi dalla sentenza della Corte d’appello di Potenza che mandava assolti funzionari e imprenditori per una serie di violazioni ambientali ribaltando la sentenza di primo grado. Ma se la ditta, che otto anni prima si era aggiudicata la gara per le opere di sistemazione idraulica a difesa delle infrastrutture del Basso Basento, si presentava a Potenza, non c’era un dirigente con cui potesse parlare. Un ottimo argomento, il silenzio, per i navigati legali della Icla per muovere un addebito tra i tanti alla loro controparte.
Da via Anzio si cerca di minimizzare. «Lacune ed inesattezze», nella ricostruzione della vicenda da parte del Quotidiano, finirebbero per «alterare» la sua veridicità «sostanziale». Almeno questo è quanto dice l’ufficio legale all’ufficio stampa che in serata ha inoltrato una nota ai mezzi d’informazione. «La vicenda di cui si parla – spiegano in Regione – è articolata in più procedimenti instaurati presso i Fori di Roma e Bari e risulta ancora complessivamente non definita nel merito». La parola chiave è «complessivamente», perchè è proprio per la sua complessità che qualcuno può aver deciso di non ricorrere in appello contro il lodo da 16 milioni per coltivare il processo su quello precedente. Certo l’avvenuto pignoramento non si può negare ma le somme «congelate» sui conti dell’Eni e della Banca Popolare di Bari «non sono state assegnate in conseguenza della mancata definizione del giudizio dovuta alle opposizioni fatta dalla Regione e dai terzi creditori». Opposizione all’esecuzione? Per la Regione è opposizione «al relativo lodo arbitrale». Inoltre, proseguono da via Anzio «alla luce dei vari giudizi ancora in corso, risultano prive di fondamento affermazioni secondo cui “la Regione ha avuto torto su quasi tutta la linea” e per le quali “si è arrivati al conto da pagare”». Sempre perchè le somme ad oggi sono solo «congelate», una «prassi» nell’ambito dei rapporti tra aziende e pubblica amministrazione. Infine la proposta dell’Icla. Ci sarebbero delle «interlocuzioni» in corso tra gli uffici e la società per una «definizione bonaria» della vicenda con «contenuti economici sostanzialmente diversi». In pratica uno sconto per fare prima. Da via Anzio spiegano che è «una strada», quella della transazione, «possibile proprio in virtù dell’inesistenza di un giudizio definitivo sulla vicenda e dell’impossibilità da parte della controparte di incassare i soldi». Quello che omettono di dire è che accettare sarebbe comunque un’implicita ammissione di responsabilità.
Leo Amato
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