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di FRANCESCO FORGIONE
Finalmente, sulla rotta Reggio Calabria-Milano non viaggiano soltanto i boss della ’ndrangheta, i loro soldi, i loro faccendieri e prestanome economico-imprenditoriali, ma anche le inchieste e il lavoro coordinato dei magistrati guidati da Giuseppe Pignatone e Ilda Boccassini. Per troppo tempo non è stato così. L’inchiesta milanese, che prosegue il lavoro avviato oltre un anno fa a Reggio Calabria, evidenzia ancora una volta questa svolta nell’azione di contrasto alla mafia calabrese. Ce n’era davvero bisogno per ricostruire fiducia nella volontà di combattere le mafie per sconfiggerle. E c’era anche bisogno di uno stile sobrio e rigoroso da parte di due Procure che hanno scelto come metodo la pratica dell’obiettivo rispetto a quello dell’annuncio eclatante e della spettacolarizzazione mediatica dell’azione giudiziaria. Penso che la credibilità dell’antimafia sia anche e sempre più legata al rigore dei comportamenti della magistratura stessa. Certo, fa molto più audience la frase ad effetto del figlio di Ciancimino, rimbalzata su Facebook e trasformata senza riscontri in verbo dell’ antimafia cosiddetta radicale, che non il lavoro a riflettori spenti che svela, solo un minuto dopo la messa in atto delle ordinanze, la rete di relazioni, collusioni e connivenze di cui la ’ndrangheta si è sempre nutrita e si nutre. E questo è il secondo aspetto. Da mesi la Procura di Reggio Calabria lavora per mettere a nudo un vero e proprio sistema di potere del quale la ’ndrangheta non è la componente esclusiva, ma all’interno del quale esercita la propria egemonia. La vicenda del commercialista Zumbo, uomo ponte tra servizi segreti, ’ndrangheta e massoneria, credo rappresenti un vero e proprio spartiacque. Per questo credo che i magistrati di Reggio vi abbiano dato il valore di una svolta nell’azione di contrasto. Perché in quella vicenda si incrociano gli interessi dei boss con quelli di settori non secondari del mondo economico-imprenditoriale, di professionisti e rappresentanti della bella società reggina, della politica e delle istituzioni. Un potere parallelo o forse, più semplicemente, l’essenza della natura stessa del potere in una città come Reggio e in Calabria. Senza l’arresto di Zumbo, che ha interrotto il flusso di informazioni a casa del boss Pelle, non avremmo avuto la prima operazione di un anno fa su Milano e non sarebbe proseguito il lavoro investigativo fino agli arresti di mercoledì. Questo è il punto. La cosiddetta “zona grigia”, fuori dalla convegnistica antimafia e dalla letteratura sociologica, è il territorio più difficile da aggredire dal punto di vista giudiziario e penale: più difficile trovare collaboratori, più complicato dimostrare le prove, più alto il muro delle omertà e più solida la rete dei depistaggi e il catalogo dei depistatori. Il merito dei magistrati reggini è quello di aver capito che questo è il nodo cruciale di un sistema che, a differenza di Cosa nostra, ha consentito alla ’ndrangheta di farsi Stato senza contrapporsi ad esso. Per questo il coinvolgimento di uomini delle forze di polizia, capitani dei carabinieri, agenti dei servizi segreti, graduati della Finanza fanno impressione ma non ci possono stupire. Come il coinvolgimento e gli arresti di magistrati dentro questo sistema di relazioni e connivenze. E’ irritante, quando ciò avviene, sentire parlare di veleni nel Palazzo di giustizia. E’ un modo per depistare dalla ricerca della verità. Delle due l’una: o la smettiamo di parlare di zona grigia, oppure chiediamo e incoraggiamo l’azione per svelarne la materialità, gli interessi, le pratiche e, ovviamente, i nomi e i cognomi, anche quelli più difficili da accettare. Ovviamente, saranno i processi a consegnarci le verità giudiziarie e, per quanto mi riguarda, neanche in nome della più radicale lotta alla mafia sono disponibile a rinunciare al diritto alla presunzione di innocenza e ai principi e valori del garantismo come sanciti dalla nostra costituzione. Ma in mezzo non si può stare. Infine, a Reggio come a Milano e Roma, il nodo chiave è quello della politica. Non ci servono coloro, soprattutto se magistrati inquirenti, che ogni sera in un salotto televisivo urlano contro la politica sporca e collusa, magari senza mai citare le inchieste che hanno condotto in prima persona. Abbiamo bisogno di fatti e di azioni giudiziarie che producano processi. Da cittadini, pasolinianamente, possiamo dire “noi sappiamo.”, un magistrato invece deve avere le prove per le proprie accuse e, dopo il dibattimento, ottenere le sentenze. Anche in questo non siamo a zero.Da Milano è partito l’arresto per il consigliere del Pdl Morelli e tempo fa, da Reggio, per Zappalà e altri quattro candidati nella lista del presidente Scopelliti. In mezzo c’è stato l’arresto del sindaco di Siderno, del sindaco e di mezza giunta di Marina di Gioiosa e lo scioglimento del Comune per mafia, l’arresto e la condanna del sindaco di Seminara, l’arresto del sindaco di San Procopio e lo scioglimento del Comune per mafia, la condanna per concorso esterno dell’esponente Udc Pasquale Inzitari, la condanna in primo grado dell’ex consigliere regionale Domenico Crea, la richiesta di rinvio a giudizio per l’ex consigliere comunale del Pdl reggino Manlio Flesca, il rinvio a giudizio dell’ex assessore regionale Michele Raso, gli arresti per corruzione di mezzo ufficio tecnico dell’assessorato Urbanistica di Reggio Calabria. E, inoltre, l’indagine aperta sul presidente Scopelliti per la vicenda Fallara e gli arresti per la società Multiservizi sempre del Comune di Reggio Calabria. A questi vanno aggiunti una serie di provvedimenti giudiziari che riguardano professionisti, medici, notai, avvocati. Il cuore, quasi mai toccato con questa sistematicità, di una borghesia mafiosa che ha sempre rappresentato l’altra faccia della mafia militare. Se agli uffici del gip, le richieste di provvedimenti per 416 bis sono superiori a quelle per narcotraffico, significa che finalmente la ’ndrangheta comincia ad essere collocata e contrastata nella sua reale dimensione. Come dimostrano anche i numeri, mai riscontrati prima, di aggressione patrimoniale, i sequestri e le confische. E questo nella difficile condizione di uffici gravati ancora da zone d’ombra da diradare. Possiamo essere soddisfatti? No. E’ necessario fare di più e si può fare di più. Servono più mezzi e risorse, oltre che l’unificazione di tutte le energie impegnate sul campo. Ma questa è la strada da battere e il riconoscimento che va dato a chi ha impresso questo cambio di passo nel contrasto giudiziario e penale. Il grande vuoto riguarda tutto il resto: il silenzio dei partiti, o quello che ne rimane in Calabria, la scarsa reazione della società civile, il mutismo degli intellettuali. Ma questo è un altro capitolo sul quale ritorneremo.

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