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POTENZA – Come una figura leggendaria, un simbolo dei ruggenti anni ‘80, continua a far parlare di sè anche da morta, o almeno semiviva. Quando l’ufficiale giudiziario si è presentato a via Anzio i più giovani avranno stentato a capire, mentre altri si lasciavano trasportare dall’onda dei ricordi. Il terremoto, la prima Repubblica, i bei tempi dello scudo crociato. Una sigla, Icla costruzioni generali spa (vedi box pagina affianco, ndr), e il suo nume tutelare, “‘o ministro” Paolo Cirino Pomicino.
Sono 16 milioni 200mila e rotti euro i soldi pignorati alla Regione Basilicata dal liquidatore della ditta che fu di Massimo Bonanno e Agostino Di Falco, celebrati e poi a lungo inquisiti costruttori napoletani. L’intera somma rischia di essere decurtata dalle royalties che l’Eni corrisponde periodicamente per le estrazioni di petrolio dalla Val d’Agri destinate alla compensazione ambientale, a progetti di sviluppo industriale della zona, all’Università e all’occorrenza anche a ripianare i conti della sanità lucana.
Per capire come sia potuta succedere una cosa così tocca fare un salto indietro di quasi un quarto di secolo, quando la giunta presieduta dal compianto Carmelo Azzarà assegnava un maxi appalto per dei lavori di sistemazione idraulica a difesa delle infrastrutture del basso Basento. Se solo si considera il disastro del primo marzo scorso qualcuno potrebbe essere tentato di anticipare un giudizio sulla qualità delle opere realizzate, ma per capire le responsabilità bisogna andare ancora avanti.
L’Icla costruzioni generali spa, in associazione con una ditta lucana, si sarebbe aggiudicata la gara con un offerta di 76 miliardi e 650 milioni delle vecchie lire “chiavi in mano” a novembre del 1988, ma il contratto sarebbe stato firmato soltanto a luglio del 1989, il 22, stesso giorno in cui Giulio Andreotti tornava a Palazzo Chigi per la sesta volta, Emilio Colombo cedeva il dicastero delle finanze a Rino Formica, e Cirino Pomicino dalla «trasformazione» della Funzione pubblica passava al Bilancio e la programmazione economica. Se tra Roma, Napoli e Potenza qualcuno abbia festeggiato non si sa, ma che il politico e i gli imprenditori napoletani fossero molto, molto vicini è un fatto noto non solo a procure e commissioni d’inchiesta sulla gestione dei fondi per la ricostruzione post terremoto del 1980. Altri fatti già noti sono le attitudini mondane del fedelissimo del “divo” Giulio e che nel capoluogo più freddo d’Italia l’Icla spa avesse una linea di credito agevolata alla Banca Mediterranea, assieme ad altri clienti privilegiati come il “re del grano” Pasquale Casillo, patron del “Foggia dei miracoli” di Zeman, e la Parmalat di Callisto Tanzi. I piccoli risparmiatori che investirono in azioni dell’istituto di credito nato dalla fusione della Banca popolare di Pescopagano e della Banca di Lucania sanno che cosa avrebbe significato alla lunga quell’esposizione debitoria scriteriata per il loro portafogli, ma questa è un’altra storia. Come l’annosa vicenda dell’incompiuta stradale tra Nerico e Muro Lucano, un’opera affidata sempre alla Icla costruzioni generali, che ha visto lievitare i costi da 26 a 320 miliardi delle vecchie lire nell’arco di 16 anni, dal 1984 al 2001, senza che a oggi i lavori siano stati completati.
Per la sistemazione idraulica a difesa delle infrastrutture del basso Basento i cantieri si avviavano subito, a novembre dell’‘88 ma meno di sei mesi dopo arrivava il primo stop. Otto mesi più tardi riprendevano, ma a maggio del 1990 ci pensava la magistratura a bloccare tutto, sequestrando le aree e i macchinari. Poi il dissequestro e un secondo decreto della Procura della Repubblica di Matera che metteva i sigilli dell’Autorità giudiziaria. L’ipotesi degli inquirenti era che si stessero consumando una serie di violazioni delle norme a tutela delle bellezze naturali, degli alberi e della vegetazione lungo le sponde del fiume, stravolgendo l’ambiente e il paesaggio della pianura metapontina. In effetti tra le autorizzazioni mancava il parere favorevole del ministero per i Beni culturali e in Regione sembra che non avessero le idee molto chiare su chi dovesse richiederlo. Perchè le aree e i macchinari fossero restituiti si sarebbe dovuto aspettare una sentenza di assoluzione definitiva, che è arrivata soltanto a ottobre del 1994. A quel punto dalle parti di via Anzio ci si sarebbe chiesti se il progetto iniziale non andasse rivisto. Icla non l’avrebbe presa bene, poi sarebbero sopraggiunti altri problemi e a colpi di carte bollate si sarebbe arrivati alla rescissione del contratto, a settembre del 2000, senza che i lavori fossero ultimati a regola d’arte.
La ditta, che nel frattempo sarebbe stata dichiarata fallita dal Tribunale di Napoli passando nelle mani di un commissario liquidatore alle prese con un buco di qualche centinaio di miliardi di lire, avrebbe chiesto un arbitrato per risolvere le pendenze. L’oggetto erano gli indennizzi che le sarebbero spettati per non essere stata messa nelle condizioni di portare a termine le opere nonostante i mezzi e le risorse impiegate. La Regione ha cercato di resistere a quelle pretese aggrappandosi a questioni di procedura ma alla fine ha avuto torto su quasi tutta la linea. E si è arrivati al conto da pagare. Cosa meglio delle royalties per andare sul sicuro? È così ogni volta che scatta un pignoramento: per primi vengono i liquidi, soldi facili da incassare. Vorrà dire che i fondi per la compensazione ambientale dell’impatto delle trivelle e del centro oli in Val d’Agri andranno ricercati altrove.
Leo Amato
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