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di GIUSEPPE CANDIDO
“Ancora una volta resto colpito, ammirato, dalla bellezza, vastità, importanza della nostra cultura popolare, dallo zelo, dalla tenacia di quei pochi che si preoccuparono di registrarla, salvarla”. Vittorio De Seta amava la Calabria, la sua cultura popolare ed aveva usato proprio queste parole per descrivere la sensazione che aveva avuto nello scorrere e leggere i canti, le novelle e le leggende popolari raccolte da Luigi Bruzzano nella rivista “La Calabria” (Monteleone, 1888-1902). Magro e col volto scavato dalla fatica di una vita, Vittorio De Seta, il grande maestro del film documentario italiano, si è spento nel silenzio della sua tenuta a Sellia Marina. Martin Scorzese l’aveva definito “antropologo” e “poeta”; Roberto Saviano aveva parlato di “Sabbia negli occhi” per descrivere letteralmente la sensazione che i film e i documentari di Vittorio riescono a trasmettere. Ricordarne la vita e le opere non è saggistica. Nel 1953 De Seta aveva iniziato collaborando come aiuto regista ne “Le village magique” di Jean Paul Le Chanois e, sempre nello stesso anno, affiancò Mario Chiari in un episodio di “Amori di mezzo secolo”. A partire dal ’54 sino al ’59 scrive e dirige una serie di documentari cortometraggi considerati oggi veri e propri capolavori del cinema mondiale: Lu tempu di li pisci spata (1954 min 10.04” ); Isole di fuoco (1954 min 09.02” ); Surfarara (1955 min 09.39”); Pasqua in Sicilia (1955 min 08.12” ); Conrtadini del mare (1955 min 09.24” ); Parabola d’oro (1955 min 09.39” ); Pescherecci (1958 min 10.02” ); Pastori di Orgosolo (1958 min 09.54” ); Un giorno in Barbagia (1958 min 09.27” ); I dimenticati (1959 min 16.56”). Straordinari documenti originariamente in Ferraniacolor e Cinemascope oggi digitalizzati e ripubblicati ne “Il mondo perduto” assieme a “La fatica delle Mani”, una raccolta di scritti su Vittorio De Seta a cura di Mario Capello che accompagna il dvd e in cui spiccano “La sabbia negli occhi” di Roberto Saviano, “Su Banditi a Orgosolo” di Martin Scorsese, “Una conversazione con Vittorio De Seta” di Goffredo Fofi, “Il metodo verghiano di De Seta” di Vincenzo Consolo, “De Seta: la Grande del documentario” di Alberto Farassino, “L’arcaico e la trasmissione della conoscenza” di Marco Maria Gazzano, “Un lungo viaggio verso il mondo perduto” di Gian Luca Farinelli. Nel 1961 Vittorio De Seta esordì col 35 mm nel lungometraggio con “Banditi a Orgosolo” (Italia, 1961 – 98 min., 35 mm b/n). Seguono poi “Un uomo a metà” (Italia, 1966 – 93 min., 35 mm, b/n) osteggiato dalla critica ma che ottenne riconoscimenti a Venezia e lodi da parte di Pierpaolo Pasolini e Moravia, “L’invitata” (Italia-Francia, 1969 – 90 min., 35 mm, col.); “Diario di un maestro” (Italia, 1973 – 270 min. 4 episodi , 16 mm, col.) evidenzia la problematica della scuola italiana e il vero scopo della scuola non finalizzata all’ottenimento di una promozione o di un diploma ma piuttosto come preparazione alla vita, la formazione del carattere e della personalità. Tutti temi ripresi in “Quando la scuola cambia” (Italia, 1978 – 240 min. 4 episodi , 16 mm, col.) con cui De Seta, rispondendo a chi gli sottolineava dopo l’uscita di Diario che quel maestro era finto e che non poteva attuarsi quel tipo di scuola, descrive quattro casi di scuola d’avanguardia, in Lombardia e in Puglia, a dimostrazione della sua tesi. Successivamente Vittorio De Seta gira “La Sicilia rivisitata” (Italia, 1980 – 207 min. 4 episodi , 16 mm, col.), “Hong Kong, la città dei profughi” ( Italia, 1980 – 135 min. 3 episodi , 16 mm, col.), “Quando la scuola cambia” (Italia, 1978 – 240 min. 4 episodi , 16 mm, col.), “Un carnevale per Venezia” (Italia, 1983 – 56 min., 16 mm, col.). Ma è con il film documento “In Calabria” (Italia, 1993 – 83 min., 16 mm, col.) che Vittorio De Seta era ritornato alle tradizioni, al “racconto della realtà ancestrale in cui un paese, un villaggio erano una comunità”. Poi, con “Lettera dal Sahara” ( Italia, 2004 – 123 min., col.) De Seta ci ha raccontato il fenomeno dell’immigrazione nel mondo di oggi attraverso la storia di Assan, un senegalese sbarcato a Lampedusa e che, in meno di sei mesi, risale l’Italia passando per Napoli, Prato, Torino e cambiando ogni volta un lavoro. E proprio sul tema del lavoro, in occasione del sessantesimo anniversario della dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, Vittorio De Seta aveva girato, a Pentedattilo in provincia di Reggio Calabria, il cortometraggio sull’articolo 23 della dichiarazione: “Articolo 23. Pentedàttilo” che è stato poi presentato il primo dicembre 2008 al Teatro Argentina in Roma. Il maestro del film documentario era nato a Palermo 88 anni fa da una nobile famiglia di origini calabresi e, dopo essersi iscritto alla facoltà di Architettura nel 1941 era stato allievo ufficiale dell’Accademia Navale di Livorno. Antico e aspramente contemporaneo, la forza delle immagini dei cortometraggi che riescono a far parlare alberi, animali, vento, mare, a tradurre in racconto il rumore, ora lieve ora travolgente della vita. “Io ho fatto il lavoro manuale, sono stato due anni prigioniero”, ci ha rivelato una sera quando gli chiedemmo cosa fosse diventato oggi il lavoro. “Una volta il lavoro in un certo senso era creativo”, ci spiegò: “Perché il lavoro manuale è creativo. Uno fa un lavoro. Vengono qui gli operai, una siepe, è finita e la vedi. Ma l’alienazione consiste nel fatto che ci sono degli operai in certe fabbriche meccaniche, che fanno dei pezzi che non sanno neanche che cosa sono, dove vanno. Se sono pezzi d’automobile o pezzi di un qualsiasi altro meccanismo. Perché ormai è fatto tutto per appalti. La Fiat non è che produce, appalta tutte le parti. la cosa non può funzionare. Non fosse altro che per il fatto che per quattro milioni di anni si sapeva che cosa si faceva. Capito? La vita media poteva essere, che ne so, quarantacinque anni, mortalità infantile, gravidanze, ..figuriamoci, malaria, tubercolosi. Ci siamo liberati da questo, però si è perso un qualche altra cosa che era fondamentale. E che si sarebbe potuto mantenere”. Esattamente tre anni or sono, nell’ottobre del 2008, Vittorio ci aveva gentilmente concesso un’intervista i cui contenuti sono ancora straordinariamente attuali. Alla domanda in cui gli chiedemmo se il “De Seta” regista scandagliasse il fondo delle cose e dell’animo umano della cultura popolare, la sua risposta era stata candida e chiara: “Si, in sostanza, la cultura contadina che è la cultura popolare, è stata buttata a mare”. E per render più chiaro il concetto ci propose un paragone: “Si parla dell’Uomo da 4 milioni di anni. 42.000 secoli sono come i metri della maratona che sono 42.195 metri. Il progresso prende soltanto gli ultimi due metri. Nessuno parla mai di questo”, ci aveva detto. “Il nostro cervello si era sviluppato lentamente fino al 1827 quando è entrata in campo la locomotiva, tanto per stabilire una cosa. E li c’è stato un movimento. Un’accelerazione esponenziale. Per cui io sento che noi non facciamo più fronte. La vita è proprio cambiata. I documentari ripropongono quell’esperienza di vita che poteva avere un uomo siciliano di cinquant’anni fa. E quindi quella di sempre. Mi segue? E quindi gli odori, i sapori, i suoni. Tutto. Noi siamo stati privati di questo patrimonio in cambio del progresso. Però a questo punto io dico che il frigo e questo telefonino (prendendo in mano il suo cellulare) l’abbiamo pagati troppo caro”. Che rapporto aveva De Seta con la Fede? Ci aveva spiegato la sua posizione con parole semplici e chiarissime: “Io non riesco a rinunciare alla ragione. Se la fede è rinuncia alla ragione”, aveva aggiunto, allora non ho fede”. E ancora: “Ho una grande devozione, come dire, un’ammirazione immensa per Gesù. Per l’autentica dottrina di Gesù. Però non credo che Gesù abbia mai espresso i concetti che son riassunti nel credo. Cioè questa revisione, questo abbandono totale. Questa deve essere roba., Tolstoj l’ha approfondito in questo libro che ho ma è in inglese e non riesco a leggere. Si chiama Critica della teologia dogmatica. I discorsi diventano troppo lunghi. In sostanza, Tolstoj mi ha insegnato che al di là della versione chiesastica, diciamo, esiste la dottrina di Gesù. Che si riassume nel credo, che è stata annunciata a Nicea nel 300 d.C.. Al di là di questo, la dottrina di Gesù è un’altra cosa, contrasta enormemente”. Gli avevamo domandato se Vittorio De Seta fosse innamorato di San Paolo: “Si, ma soprattutto di Gesù perché lui è stato falsato. E forse non si poteva fare altro. San Paolo lo stesso. Praticamente Gesù è un profeta, infatti Lui dice(va) sempre: “è stato detto occhio per occhio ma, Io vi dico …”. Quindi Lui era venuto a cambiare. Quella frase che c’è nel Vangelo: “Sono venuto soltanto a compiere” non è vera”. Era così che Vittorio De Seta riassumeva il suo rapporto con la fede: “C’è un grosso equivoco di base. La dottrina di Gesù viene sempre espressa come un qualcosa di meraviglioso ma di astruso, inattuabile, metafisico. Mentre invece no: Tolstoj mi ha insegnato che è profondamente razionale. Quando Gesù dice quei paradossi, che sembrano paradossi, “ama il tuo nemico”. In realtà è giusto, è vero. E la gente lo sente tant’è vero che a questa dottrina la gente aderisce. Però poi è invalsa la consuetudine di dire: va bene, però questi sono sogni, la realtà è un altra. E quindi, per esempio, il Male. La Chiesa riconosce il male, mentre invece Gesù non lo riconosceva. Oppure lo riconosceva come diminuzione del bene, ecco, non come entità autonoma.” Sulla questione relativa alla vita e alla morte, quando gli avevamo chiesto di esprimersi sul caso di Eluana Englaro ci aveva freddati dicendoci che “Gesù sarebbe stato per l’eutanasia”. “Detto proprio in soldoni: la Chiesa quando dice così tradisce perché Gesù, credo che nel Vangelo è riportato tre o quattro volte, dice: “voglio misericordia e non sacrificio”. E’ tutto lì. Mantenerla in vita sarebbe un sacrificio. Per lei (Eluana ndr), per la famiglia, per tutto. Io credo che Gesù sarebbe stato per l’eutanasia perché è la cosa logica, è razionale. Non c’è niente di irrazionale, niente di astruso, niente di metafisico nella dottrina di Gesù. Se tutti facessimo così credo che vivremmo in pace meravigliosamente.” Ma il maestro De Seta, in quell’intervista che fu proprio una bella chiacchierata ci aveva detto di più. Ci aveva spiegato come fare a liberarsi dal senso di colpa: “Capendo”.
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