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NON è stato il fattore discriminante nel giudizio, ma comunque un parere fondante delle motivazioni con cui lo scorso 18 novembre il Tar ha dato il definitivo via libera a Fenice. Un importante elemento per arrivare alla conclusione della sentenza: “non è stata dimostrata la sussistenza del presupposto delle situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente”. Quindi la determina dirigenziale della Provincia di Provincia è illegittima. Quindi, Fenice può continuare a bruciare indisturbata. Alla base di questa decisione c’è anche il parere del professor Carlo La Vecchia dell’istituto farmacologicio, Mario Negri di Milano, depositato il 12 novembre scorso.
La parte della sentenza ad esso relativa non va oltre le due righe, ma il contenuto è di estrema importanza. Si legge: l’esperto afferma «che non è stato registrato alcun aumento di tumori nei Comuni di Melfi e Lavello».
Una notizia (la vera notizia emersa dal procedimento amministrativo) che – come è facile immaginare – ha conseguenze molto importanti per le popolazioni del Vulture. E’ quella che con caparbietà e coraggio i cittadini chiedono di conoscere da tempo, senza ricevere risposte. Anzi, qualche risposta pure c’è stata, ma di certo non in grado di fare chiarezza: i dati non ci sono, l’analisi è difficile. E ora che finalmente una valutazione scientifica sull’impatto dell’inquinamento decennale provocato dall’impianto di San Nicola sulla salute del territorio e dei suoi abitanti, oltre tutto rassicurante, sembrava esserci, ci si aspettava conclusioni esaustive, in grado dire come stanno veramente le cose. Il Mario Negri è un istituto di ricerca no profit «indipendente dall’università, dall’industria e dai privati».
E, l’esperto in questione, il professor Carlo La Veccia, è un luminare del settore, con un curriculum che lascia pochi dubbi: al Negri è capo del dipartimento di Epidemiologia, è docente di Epidemiologia all’Università di Milano ed è inoltre professore straordinario di Epidemiologia, Istituto di medicina sociale e preventiva all’Università di Losanna in Svizzera e adjunct professor of medicine, school of medicine, dell’Università di Nashville, in Tennessee. Eppure, quello che emerge, se solo si prova ad andare più a fondo in questa vicenda, non è altrettanto rassicurante. In primo luogo, va precisato che il parere, è stato commissionato, a pagamento, dallo studio legale di Fenice Ambiente srl. E va anche detto che, quando abbiamo chiesto all’azienda di farcene avere copia dopo il pronunciamento del Tar, ci è stato detto che al momento non era possibile. Abbiamo deciso allora di rivolgerci direttamente al professor La Vecchia che, raggiunto telefonicamente nel suo studio di Milano, presso l’istituto di ricerca, spiega: «In base al materiale che mi è stato consegnato dall’ufficio legale della srl mi sono limitato a concludere che non è possibile stabilire una connessione tra l’inquinamento e la diffusione delle malattie tumorali nel Vulture». Che è ben diverso dal dire che nei comuni di Melfi e Lavello non si registrano casi di cancro in aumento. Un’affermazione del genere presupporebbe perlomeno l’analisi di un registro dei tumori che in Basilicata nemmeno esiste. E infatti il professore conferma: «Non sono in possesso di dati di questo tipo». Ma aggiunge pure: «Stabilire una connessione in questa direzione è quasi impossibile. Conoscere i dati sulle sostanze inquinanti è ben diverso dall’avere informazioni sulle conseguenze per le salute umana, in quanto strettamente dipendente dal reale grado di esposizione. Ma il fatto che Fenice abbia inquinato per dieci anni non comporta automaticamente conseguenze per la catena alimentare o un incremento delle malattie tumorali. L’acqua che esce dai rubinetti, o che viene utilizzata per irrigare i campi non è certo quella inquinata. Anche perché – aggiunge il professore, evidentemente ignaro dei risvolti giudiziari della vicenda Fenice Arpab – immagino che il funzionamento dell’impianto di Melfi sia sotto stretto monitoraggio». Del resto, aggiunge La Vecchia, a limitare di molto ogni possibile valutazione, è anche la ristrettezza dell’arco temporale. «Dieci anni sono pochi per una stima di questo tipo. Per farsi un’idea, basta considerare che il fumo può provocare un tumore ai polmoni anche trent’anni dopo». Dunque, sembra di poter concludere, sulla base delle parole del luminare, che con i dati a disposizione di certezze non ce ne possono essere. Che è assolutamente diverso dal dire che nei comuni del Vulture non sono aumentate le malattie tumorali. Il parere dell’istituto Negri, invece, sembra ricalcare la posizione assunta dall’Asp che, nell’ultima conferenza dei servizi, lo scorso 20 settembre, aveva espresso giudizio favorevole a Fenice sulla base della mancanza di elementi scientifici che provassero la connessione inquinamento-malattie. E che proprio per questo motivo era stata diffidata dal Comitato per il diritto alla salute di Lavello dall’esprimere ulteriori pareri: “Inutile che lo faccia se non ha elementi in base ai quali valutare”, era stato in sintesi il senso della diffida. La perizia dell’istituto Negri lascia aperti oggi gli stessi dubbi. Anche perché il professore aggiunge: «La mia via valutazione, richiesta dall’ufficio legale di Fenice e depositata al Tar il 12 novembre, è stata espressa sulla di dati già noti e resi pubblici, quelli che conoscono tutti. E anche sulla base di articoli di giornali». C’è ben poco da stare tranquilli.
Mariateresa Labanca
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