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di MASSIMO VELTRI
Ritengo che pure dalla Calabria, dalla periferia, debba esprimersi una valutazione sui fatti che hanno portato alla nascita del governo Monti. Perché la Calabria, fino a prova contraria, fa parte dell’Italia e perché l’operato di Monti avrà comunque ricadute sulla nostra vita di calabresi. A me più di tutto ha colpito l’intervista ad Alberto Asor Rosa, che mesi fa, in preda evidentemente ad uno sconforto totale, richiedeva interventi risolutivi, e in qualche misura provocatoriamente eversivi, contro Berlusconi. Ebbene, Asor Rosa commenta accettando la soluzione come unica praticabile, e all’intervistatore che lo solletica con il refrain del governo dei banchieri, lui ribatte: «Ci son momenti nella storia in cui s’hanno da accettare pure queste cose». Mi ha colpito, perché, questa posizione può essere assunta come paradigmatica, in termini di realpolitik, nell’accettare quel-che-c’è-c’è pur di togliersi davanti Berlusconi. E anche nel constatare quanto la gravità degli attacchi finanziari e economici ai nostri conti sia da tenere in posizioni alte, quella più alta, in tutte le valutazioni che facciamo. Il baratro, il default, lo scivolare verso il Sud del mondo fanno scattare campanelli d’allarme di volume crescente e durata persistente. Perché siamo arrivati a questo punto? Si poteva prevedere e evitare? Monti era una scelta obbligata? E Monti fino a quando durerà? L’euro è debole, la politica è debole, non c’è una politica europea, alla Commissione europea si è sostituita la Germania con la Francia come pendant. La globalizzazione e l’assenza di pensieri forti hanno via via sempre più confinato la politica al rango e al ruolo di gestore e solo minimamente di regolatore dei processi sociali. Politica ancella dei mercati. Laddove c’è stata contezza dello stato delle cose, dove c’è uno Stato organizzato, retto con responsabilità, qualche misura è stata assunta: da noi no. Si stava bene, a sentire il leader, si dovevano diminuire le tasse, la crisi era propaganda di memoria sovietica. Nel ventre molle d’un paese allo sbando si sono infilzati forconi e attrezzi della speculazione, da noi più che altrove. Con un governo e una maggioranza, appena rese inevitabili le falle, a darsi al fuggifuggi, un’opposizione multiforme, divisa, non in grado di esprimere una posizione unitaria, neanche essa – malgrado antenne e sensori a disposizione – in grado di capire che la fine di Berlusconi sarebbe coincisa con il baratro totale per l paese, e quindi drammatizzare e accelerare in tutti i modi la sua caduta. Evitare quindi, era francamente non facile, visto il governo che avevamo, viste le politiche dell’opposizione. Una corrente di pensiero, certamente non esigua né di destra soltanto, afferma che comunque l’Italia non sarebbe fallita, non fallirebbe, perché il suo fallimento porterebbe con sé il fallimento dell’Europa tutta, e questo nessuno può permetterselo, ma ciò detto non può non considerarsi il fatto che non è da escludere un crac della Ue oltre che dell’euro, una volta che prende moto e accelera sempre più un processo speculativo che nessuno è in grado di fermare più. Senza nascondersi dietro il fatto che Monti, Prodi, Draghi e altri, tutti con esperienze forti in agenzie di rating, sono espressioni di un mondo di circuiti, lobby, istituzioni finanziarie, che da sempre – e in particolare quando Amato circa vent’anni fa fece la manovra lacrime e sangue – hanno determinato, attivamente e non solo consenzialmente, l’agire economico di Stati e paesi. Agire che ha portato a alienazioni di beni pubblici, strette sul costo del lavoro, sui diritti dei lavoratori, che avranno portato benefici sì, ma a chi, esplicitamente, è difficile dire, visto che sempre e perennemente siamo in condizioni prebancarotta. A questo nodo aggrovigliato della matassa, o elezioni subito o nuovo governo. Con misure economiche da prendere, con l’ondivagare circa elezioni immediate sì o no, ecco il governo che Panebianco disquisisce s’abbia da chiamare tecnico o di larghe intese, ma il cui tratto non cambia. Figura esperta, stimata, in grado di assumere sopra le proprie spalle il carico di eredità pesanti e di un futuro fosco, Mario Monti. Avrebbe voluto, a ragione, politici dentro. I tecnici danno contributi di conoscenze e esperienze, i politici assicurano – teoricamente – mediazione e visione d’insieme. Non se n’è fatto niente. Abbiamo professori, banchieri, esperti: le riunioni di maggioranza, il Parlamento saranno le sedi in cui affrontare le cose in sede politica. Ricordando che l’ultimo tutti insieme fu la Bicamerale D’Alema che finì come finì, non dimenticando che comunque i tempi stringono. Monti a termine? Fino alla fine della legislatura? Di giustizia e legge elettorale non si deve occupare? Sangue sudore e lacrime, e la crescita, e quale crescita? Per il Sud, per la Calabria, quali spazi, oltre Catricalà, e Piero Giarda già docente Unical, salutati entrambi con soddisfazione? Sel, Di Pietro, De Magistris, Camusso, insistono su alcuni temi e su tempi di durata brevi. Casini parla di miracolo (forse pure perché la componente cattolica nel governo è massiccia), Veltroni dice: fino alla fine; D’Alema: la politica faccia un passo indietro (detto da lui, l’uomo-partito, il togliattiano per eccellenza…). Il risparmio, il potere d’acquisto, la sicurezza dei conti, pubblici e privati, mentre Borse e spread ancora pare non si siano accorti che c’è Monti, aumentare il Pil, contenere l’inflazione, avviare politiche infrastrutturali e di lotta all’evasione… Questo e altro aspetta il lavoro dei Monti boys. E la politica teme di scendere in campo, di appropriarsi di un suo spazio proprio, che le compete, ma che per troppo tempo e troppo intensamente non ha onorato. Mentre in Calabria qualcuno reclama soldi, dal nuovo governo, ma non afferma il piglio, la volontà di una proposta dal basso, dell’intraprendere la via della responsabilità. Credo sia vero: Monti è esattamente l’altra faccia di questa politica malata.
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